Gela. Nella carbonara ci va il guanciale o la pancetta? No, Archestrato non vi avrebbe potuto rispondere, non si conosceva ancora questa ricetta nel IV secolo a.C., ma avrebbe potuto darvi mille altri consigli.
Infatti, scrisse un’opera che potrebbe essere considerata l’antenata di tanti siti come Trip advisor o di programmi televisivi che decantano le bontà locali: si chiamava “I piaceri della tavola”.
Era un’opera molto originale per la sua epoca perché, strano a dirsi, non era semplicemente una guida enogastronomica, ma una vera e propria opera di poesia. Sì, un testo in versi. E che versi! Si trattava nientemeno che di esametri, quelli usati nella poesia epica, la poesia più seria, quella che celebrava le gesta degli eroi e le loro sofferenze (avete presente l’Iliade e l’Odissea? Ecco).
Un’epica del buon cibo e del buon vino, insomma, e dei luoghi migliori in cui trovarli.
Questo nostro antenato, dunque, fa qualcosa di abbastanza insolito, fa diventare oggetto di poesia un argomento basso: figuriamoci se Omero avrebbe potuto indicare le città in cui trovare il pesce migliore o quale vino scegliere. Ci sarebbe stato quasi da ridere: gozzovigliare al massimo poteva essere argomento da commedia.
E l’intento, forse sì, era quello di parodiare la grande poesia (quella con la P maiuscola), di giocare con la letteratura e le sue regole. Ma per farlo quelle regole bisogna conoscerle bene e il nostro poeta ci gioca abilmente.
Tuttavia, pur godendo di tanta fama, forse non venne mai preso troppo sul serio: quei versi che decantavano le telline di Efeso o i polpi di Taso non sembravano degni di essere tramandati e la sua opera dovette così affrontare quel naufragio in cui tanta letteratura è affondata.
Ma qualcosa si è salvato, abbastanza per poterlo celebrare tra un sorso di vino e qualche prelibatezza.
Perché Archestrato ce lo ricorda: a volte ricercare il piatto giusto, anche quella è un’impresa. Che però può valere la pena.
Di Rossano Scicolone