Gela. Un braccio di ferro tra Ministero della Giustizia e giudice di Sorveglianza chiama in causa la Corte Costituzionale. Un detenuto al 41 bis ha il diritto di vedere i canali Raisport e Rai Storia? E’ il caso di Giuseppe Cavallo, gelese, in carcere a Rebibbia da 10 anni per scontare una condanna per racket.
Il ministro della Giustizia Paola Severino ha annullato una decisione del tribunale di Sorveglianza di Roma. E il magistrato si è rivolto alla Suprema corte denunciando un conflitto di competenze e la violazione di alcuni articoli della Costituzione sui diritti umani.
Il primo provvedimento è dell’allora ministro Angelino Alfano, datato luglio 2011. Da una parte c’è Giuseppe Cavallo, detenuto al carcere di Rebibbia, sottoposto al 41 bis, regime di sorveglianza speciale. Dall’altra c’è nientemeno che il presidente del Consiglio dei ministri in carica, Mario Monti insieme al ministro della Giustizia Paola Severino. Il ricorso dei legali di Cavallo, avvocati Flavio Sinatra e Kuana Granozio era stato accolto dal giudice di magistrato di sorveglianza di Roma, per cui quello con Monti è diventato un conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato.
Un anno fa il direttore di Rebibbia decise di inibire la visione di Rai Sport e del canale Rai Storia all’ex boss della Stidda. Erano i canali preferiti. Cavallo fece ricorso, e la ebbe vinta. Ma Rai Sport e Rai Storia non sono mai riapparsi sul monitor della sua cella. L’allora ministro Angelino Alfano sostenne che i detenuti del 41 bis avrebbero potuto ricevere messaggi rotanti attraverso quei canali dai parenti. E quel provvedimento non venne modificato né dal suo successore Francesco Nitto Palma, né dal ministro del nuovo governo, Paola Severino.
Escono fuori le motivazioni. Su alcuni canali tv ci sono trasmissioni in cui il pubblico interviene via sms e i vari messaggi scorrono con i cosiddetti sottopancia durante la trasmissione. Il magistrato rifece una verifica: su Rai Storia e Raisport non esiste nessun programma con sms del pubblico in tutto il palinsesto. Non c’era quindi motivo di oscurarli.