Niscemi. Il cerchio intorno al drammatico omicidio dello studente Pierantonio Sandri sembra definitivamente chiuso.
Gli agenti della squadra mobile di Caltanissetta, infatti, su ordine dei magistrati della direzione distrettuale antimafia di Catania, hanno notificato un nuovo provvedimento d’arresto al trentacinquenne Vincenzo Pisano: ritenuto, insieme a Giuliano Chiavetta, il killer del ragazzo.
Un provvedimento, quello notificato al detenuto Pisano, legato alle dichiarazioni rese davanti agli inquirenti proprio da Giuliano Chiavetta.
E’ stato l’ex uomo di fiducia del boss Alfredo Campisi, a sua volta ucciso nel corso della guerra di mafia che lo contrapponeva al gruppo capitanato da Antonino Pitrolo, ad ammettere le proprie responsabilità.
Vincenzo Pisano, tra i principali killer a disposizione delle famiglie di Niscemi, avrebbe fatto parte del comando che, il 3 settembre di diciassette anni fa, prelevò Sandri per condurlo su un terreno di contrada Vituso.
Lì, la sua giovane vita venne stroncata: fu soffocato e, poi, torturato dai picciotti di Alfredo Campisi.
Il suo corpo venne ritrovato, sepolto, solo tre anni fa.
A Chiavetta e Pisano si aggiunse Marcello Campisi, destinatario di un analogo provvedimento lo scorso 8 febbraio.
L’operazione eseguita dagli agenti della mobile è stata intitolata a Ninetta Burgio, madre di Pierantonio che, fino alla sua morte, ha reclamato la verità sulla sorte del figlio.
Sandri, stando alle parole dei collaboratori di giustizia Giuliano Chiavetta e Antonino Pitrolo, avrebbe avuto la colpa di aver casualmente assistito all’incendio di un’automobile messo a segno da uno dei componenti del gruppo Campisi.
“E’ stato ucciso – ha confessato Giuliano Chiavetta – perché era testimone oculare di un danneggiamento a mezzo incendio di un’autovettura, fatto di notte da Salvatore Cancilleri, che faceva parte del nostro gruppo mafioso, almeno per quanto aveva riferito Cancilleri stesso. Il Cancilleri mi parlò di questo fatto mostrandosi preoccupato poiché il Sandri aveva visto che era stato lui a bruciare l’autovettura e temeva che lo stesso potesse riferire qualcosa alla Polizia, poiché lo si riteneva vicino a personale del Commissariato o, comunque, non essendo omertoso vi era il rischio che potesse rivelare questo fatto”.