No Veleni…No Lavoro: Due proteste che si ignorano

 
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Gela. Una protesta contro un’altra protesta? La disperazione quasi irreparabile contro la mobilitazione ancora in fase di trattativa?

Difficile dirlo ma, di certo, davanti alla fabbrica Eni è stata una giornata molto convulsa.
Dalle prime luci dell’alba, l’ex lavoratore del gruppo edile Corima Giuseppe D’Arma, rimasto senza lavoro e senza datore dopo le difficoltà che hanno colpito l’azienda, si è piazzato davanti ai cancelli della fabbrica.
Qualcuno – ha continuato a ripetere – deve darmi una risposta. Senza stipendio da sette mesi come dovrei fare a vivere?”.
Il problema è che questa risposta, al momento, non gliel’ha data nessuno.
Addirittura, c’è chi tira in ballo le sue pesanti parentele: figlio del boss stiddaro Armando D’Arma.
Mentre oltre sessanta ex colleghi hanno già trovato spazio nell’organigramma di altre società, per lui sembra non essercene.
Le parentele che fanno discutere? Una qualifica non ricercata da eventuali datori di lavoro?
Fatto sta che la sua protesta ha avuto inizio davanti agli operai di un indotto mai così in difficoltà che, solo per qualche ora, hanno solidarizzato.
Si sa, in tempi di crisi anche la protesta ha i minuti contati e, soprattutto, quegli stessi minuti possono pesare in busta paga.
Ma, appunto, come in tantissimi altri casi del genere, davanti ai cancelli a portare solidarietà c’erano i soliti…i colleghi, qualche sindacalista, i brandelli di classe operaia triturati da un processo di continua disgregazione, i cronisti intenti ad immortalare la protesta.
Dall’altro lato della strada, solo qualche ora dopo e mentre D’Arma si trovava ancora davanti ai cancelli, c’era la mobilitazione che si prepara: quella ancora in fase di discussione teorica.
Dove si riuniscono, a scadenze ben declinate dal calendario religioso, devoti e devote locali: da un paio di settimane, si ritrovano gli aderenti al comitato Bonifichiamoci-No Veleni, sorto dopo l’ultimo, tragico, sversamento generato da un guasto interno alla fabbrica di contrada Piana del Signore. 
Davanti al santuario di Betlemme, tutti a discutere sul da farsi: c’è da dare forma alla carta d’intenti che dovrebbe aggregare entità diverse fra loro.
Due proteste, perché anche quella del comitato lo è già intrinsecamente, andate in scena a pochi metri di distanza: estranei che non parlano e, addirittura, non scambiano neanche il saluto normalmente rivolto al passante conosciuto solo per puro caso.
Forse, è propria questa distanza che isola l’assoluta precarietà di quel lavoratore, e più in generale di chi in fabbrica ci vive quotidianamente, dalla mobilitazione civica di chi è pronto a mostrare nuove forme, almeno per questa città, d’attivismo.
I metri di distanza erano decisamente agevoli da coprire: nonostante ciò, ognuno dal proprio lato della strada, con l’effige del cane a sei zampe a vigilare dall’alto.

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