Gela. Ha spiegato di aver acquisito informazioni dai colleghi di lavoro che si trovavano nel cantiere in raffineria al momento dell’incidente mortale, costato la vita all’operaio cinquantaquattrenne Antonio Vizzini. E’ stato sentito, in aula, il primo testimone citato dai pm della procura nella vicenda che ha indotto i magistrati a contestare l’omicidio colposo. Era alle dipendenze della Lorefice&Ponzio quando cinque anni fa fu vittima di un incidente che non gli lasciò scampo. Morì appena arrivato in ospedale. Al vaglio degli investigatori, finirono i lavori che erano stati commissionati da Eni e le procedure attuate all’interno del cantiere. Non si esclude l’ipotesi di una manovra improvvisa di un’autogru, forse decisiva. Il poliziotto chiamato a testimoniare ha spiegato di non aver effettuato accertamenti sul luogo dell’incidente. Acquisì le prime informazioni, direttamente da altri lavoratori presenti sul posto. Le accuse dei pm, in aula con il pubblico ministero Pamela Cellura, vengono contestate a Domenico Lorefice, Angelo Vergati, Giuseppe Antonuccio, Giovanni Nunnari, Antonio Bennici, Orazio Fidone e Stefano Lo Coco (difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Davide Limoncello, Katia Lo Coco e Enrico Valentini). Sono responsabili dell’azienda per la quale lavorava l’operaio e della società di controllo. A processo, è finito anche il dipendente che si occupava di manovrare il mezzo pesante usato nel cantiere.
Probabilmente, alla prossima udienza verrà riunita la posizione di un altro imputato, Leandro Lorefice, nuovamente rinviato a giudizio, dopo che per la sua posizione gli atti erano stati restituiti ai pm della procura. I familiari di Vizzini sono parti civili con gli avvocati Dionisio Nastasi, Riccardo Lana, Dalila Di Dio e Giuseppe Ferrara. Le aziende coinvolte, invece, sono state chiamate in giudizio come responsabili civili.