Genova. I giudici della Corte d’assise di appello di Genova, lo scorso febbraio, hanno confermato la condanna a ventuno anni e cinque mesi di reclusione nei confronti del trentaseienne Guido Morso, ritenuto l’omicida del ventottenne Davide Di Maria, trovato senza vita in un’abitazione del quartiere Molassana, nel capoluogo ligure. Gli è stato riconosciuto il concordato solo per le contestazioni legate al possesso dell’arma. A dicembre, saranno i giudici della Corte di Cassazione a pronunciarsi sui ricorsi presentati dai legali di difesa, gli avvocati Giacomo Ventura, Riccardo Lamonica e Mario Iavicoli. E’ caduta invece l’accusa di concorso in omicidio contestata al padre, il gelese sessantaduenne Vincenzo Morso, da tempo ritenuto referente di Cosa nostra a Genova. Tre anni e otto mesi a fronte dei complessivi diciannove anni e otto mesi di primo grado. I ricorsi in Cassazione riguardano anche la sua posizione processuale. Per Di Maria, fatale fu una coltellata. La lama non è mai stata ritrovata. I Morso hanno sempre escluso di aver ucciso il giovane. Si sarebbero recati nell’appartamento per tentare di chiarire vicende, forse legate allo spaccio di droga. Hanno ammesso di aver avuto una pistola, ma non la lama che uccise il ventottenne.
E’ passata, seppur solo rispetto alla posizione processuale del padre, la linea difensiva sostenuta dai legali. Per i difensori (l’avvocato Ventura è subentrato in secondo grado), padre e figlio non avrebbero ucciso Di Maria. La colluttazione sarebbe scoppiata dopo pochi istanti. Nell’appartamento c’erano anche Marco N’Diaye e Cristian Beron, ritenuti vicini alla vittima. Dopo essersi accorti di quanto era accaduto, i Morso si diedero alla fuga, consegnandosi agli investigatori solo successivamente. Adesso, sono entrambi agli arresti domiciliari.