Gela. Hanno risposto alle domande e si sono difesi davanti al gip. Salvatore Luca, Francesco Luca e Rocco Luca, attualmente detenuti dopo il blitz “Camaleonte”, hanno respinto la ricostruzione dei pm della Dda di Caltanissetta e dei finanzieri del Gico, che invece li ritengono contigui alla famiglia di mafia dei Rinzivillo. Lunghi interrogatori, durante i quali gli indagati hanno ripercorso le tappe anche dello sviluppo del gruppo imprenditoriale da loro gestito, che stando alle accuse sarebbe stato finanziato con capitali, inizialmente assicurati dalla cosca. I tre sono stati raggiunti da provvedimenti di custodia cautelare in carcere e difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Antonio Gagliano e Alfredo D’Aparo si sono presentati dai giudici, seppure in sedi diverse. In base alle accuse, sarebbero stati loro i veri promotori di un presunto trait d’union con i gruppi di mafia, compresi quelli catanesi. Uno spaccato tracciato dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che hanno anche parlato di presunti incontri negli uffici societari. Gli inquirenti, inoltre, sono convinti che i Luca abbiano poi tentato di accreditarsi, denunciando di essere stati vittime di estorsione, attraverso la presunta garanzia concessagli dal funzionario di polizia Giovanni Giudice (difeso dall’avvocato Giacomo Ventura), a sua volta indagato.
Gli altri quattro coinvolti, Francesco Gallo, Maria Assunta Luca, Concetta Lo Nigro e Emanuela Lo Nigro, attualmente sottoposti al divieto di dimora nelle province di Caltanissetta e Ragusa, verranno sentiti domani. Tutte le aziende riconducibili alla famiglia Luca sono state sequestrate, ma l’attività dovrebbe continuare attraverso amministratori giudiziari.