Gela. Non fu un caso di malasanità, ma i medici agirono nel rispetto dei protocolli. Dopo quindici anni dai fatti, è arrivato il verdetto del giudice civile del tribunale di Caltanissetta. E’ stato respinto il ricorso presentato da una donna che nel gennaio del 2004 venne sottoposta ad un delicato parto con taglio cesareo, all’ospedale “Sant’Elia”. Nel corso di quell’intervento, i sanitari decisero di procedere alla legatura delle tube, dopo quattro gravidanze, tutte a rischio. La paziente, successivamente, decise di denunciare i medici, sostenendo di non essere stata previamente informata dell’intenzione di sottoporla alla legatura, che le ha precluso qualsiasi nuova gravidanza. Per la donna, sarebbe stato leso un suo diritto, quello al consenso informato. In base al ricorso, non le venne sottoposto un atto formale da sottoscrivere. Il legale che l’ha rappresentata ha spiegato che l’impossibilità di avere altri figli le avrebbe causato diversi problemi nel rapporto con il nuovo compagno. Una serie di possibili danni esistenziali che l’hanno indotta a chiedere un risarcimento. Alle richieste, in giudizio per conto dell’Asp, si è opposta l’avvocato Giovanna Cassarà, che alla fine ha ottenuto un verdetto favorevole.
E’ stata prodotta una vasta documentazione sanitaria, che ha dimostrato come il quadro clinico della paziente fosse veramente molto delicato. Una nuova gravidanza, dopo le quattro precedenti tutte a rischio, avrebbe potuto comprometterla definitivamente. La difesa dell’Asp ha presentato una formale dichiarazione scritta, che l’equipe del “Sant’Elia” fece firmare a due familiari della donna, subito dopo l’intervento. Nell’atto si confermava che la paziente fosse stata effettivamente informata della necessità di procedere alla legatura delle tube, con tutti i successivi effetti. Non ci sarebbe stata nessuna violazione dei protocolli sanitari, previsti in casi simili. Dopo l’esame di diversi testimoni e il raffronto tra versioni nettamente discordanti, il giudice civile del tribunale nisseno ha respinto le richieste della donna, chiudendo un procedimento civile protrattosi per anni.