Gela. Crocifisso Di Gennaro sarebbe stato alla testa di una vasta rete di spaccio. La droga sarebbe arrivata da fornitori albanesi, con base nel ragusano, e dai catanesi. “Gestiva almeno venti contatti al giorno”, ha detto il capitano dei carabinieri Francesco Ferrante, che coordinò l’inchiesta “Cruis”. Il militare è stato sentito in aula, davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Silvia Passanisi). Notevoli quantitativi di droga sarebbero affluiti in città. “Le consegne avvenivano direttamente nella sua abitazione”, ha proseguito il militare. L’appartamento di Di Gennaro e l’ex bar “Cruis”, a Caposoprano, divennero i punti nodali dell’inchiesta, con gli investigatori che monitorano spostamenti e incontri di tutti gli imputati. Gli interessi di Di Gennaro, però, non avrebbero riguardato solo il controllo del presunto traffico di droga. “Nel corso dell’indagine – ha spiegato ancora il carabiniere – sono stati accertati contatti con un candidato a sindaco e con candidati al consiglio comunale per le amministrative del 2015”. Il testimone non ha precisato l’identità degli esponenti che si sarebbero rivolti a Di Gennaro, probabilmente anche per avere a disposizione gli attacchini in fase di campagna elettorale. Il suo nome è tra quelli degli indagati in un’inchiesta appena chiusa dai pm della procura, tutta incentrata su presunte richieste di voti in cambio di favori. Di Gennaro, secondo gli investigatori, si sarebbe prodigato alla ricerca di voti, anche per ottenere facilitazioni nel rilascio di autorizzazioni per il bar “Cruis”. “Era molto abile – ha continuato l’investigatore – aveva creato un sistema di sms oppure comunicava con clienti e fornitori tramite facebook o whatsapp, all’epoca difficili da sottoporre ad intercettazione e monitoraggio. Parlavano di birra, vino o caffè”.
Il testimone ha risposto alle domande del pm della Dda di Caltanissetta Matteo Campagnaro e dei legali di difesa. A processo, oltre al presunto capo, sono finiti Francesco Barbagallo, Vincenzo Cannizzo, Manuel Ieva, Vincenzo Ieva, Monia Greco, Nicola Liardo, Fail Menkai, Giovanni Barbieri, Salvatore Santagati, Antonino Santonocito, Almarin Tushja, Vincenzo Vella, Valentina Bellanti e Rosario Marchese (gli ultimi due rispondono solo dell’intestazione fittizia del bar). Il gruppo dello spaccio avrebbe garantito spazio a pusher minorenni. Un nipote di Di Gennaro sarebbe stato uno dei più attivi. “I familiari sapevano cosa facesse, anche se era minorenne”, ha confermato il capitano. Per le difese, però, non ci sarebbero mai stati sequestri di droga da collegare agli imputati né sarebbe stato provato il rapporto tra Di Gennaro e i possibili fornitori all’ingrosso, monitorati ma mai individuati con carichi da consegnare. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Giacomo Ventura, Flavio Sinatra, Carmelo Tuccio, Cristina Alfieri, Davide Limoncello, Ivan Bellanti, Enrico Aliotta, Walter Tesauro, Maria Elena Ventura, Alessandra Campailla, Francesco Pelizzari e Alessia Licitra.