Gela. Cadono molte delle accuse contestate ai nove imputati finiti davanti al collegio presieduto dal giudice Lirio Conti dopo il blitz antimafia “Compendium”. Alla fine, nel dispositivo letto in aula, escono condanne per vent’anni di reclusione a fronte dei circa quaranta
chiesti dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta.
Tutti gli imputati erano accusati di aver avuto un ruolo nel presunto gruppo di cosa nostra scoperto dagli investigatori e in grado d’incidere anche fuori dai confini isolani.
Le pene più pesanti sono state inferte a Giuseppe Billizzi, fratello del collaboratore di giustizia Carmelo, e a Gianfranco Di Natale. Al primo, difeso dall’avvocato Gloria Iannizzotto, è stata comminata una pena a 6 anni e 6 mesi di reclusione; al secondo, invece, rappresentato dall’avvocato Flavio Sinatra, quella a 6 anni.
Per Billizzi è stata quasi integralmente rispettata la richiesta arrivata dall’accusa mentre per Di Natale si è passati dai 10 anni richiesti dai pm ai 6 comminati dal collegio. Sono cadute, però, le contestazioni legate alla presunta appartenenza a cosa nostra.
5 anni e 6 mesi di reclusione, invece, sono stati decisi nei confronti di Claudio Lo Vivo, difeso dall’avvocato Vittorio Giardino. E’ stato ritenuto responsabile di aver fornito le armi al presunto gruppo individuato dagli inquirenti.
Sono cadute, invece, le accuse legate alle presunte estorsioni. Pene molto attenuante, invece, per i due collaboratori di giustizia Gianluca Gammino e Carmelo Billizzi, rispettivamente 6 mesi e 1 anno e 11 mesi in aggiunta a precedenti decisioni. Scatta l’assoluzione per Emanuele Caltagirone, difeso dal legale Carmelo Tuccio, Rosario Cascino, Stefania Cascino, moglie del collaboratore Carmelo Billizzi, Francesco Martines, rappresentato dall’avvocato Maurizio Scicolone, e Andrea Frecentese.
Per Rosario Cascino era stata chiesta la condanna a 2 anni e 8 mesi di detenzione; 8 anni era quella indicata per lo stesso Martines. Atti alla procura, invece, per approfondire l’intera vicenda dell’assunzione, in un’attività commerciale locale, di Stefania Cascino.
Ci sarebbero state troppe omissioni anche nelle dichiarazioni rese da alcune vittime delle pressioni esercitate dal gruppo. I giudici hanno riconosciuto il diritto al risarcimento danni, da definire in sede civile, in favore degli imprenditori finiti al centro delle richieste del gruppo oltre che dell’ente comunale e delle associazioni antiracket costituitesi parti civili con gli avvocati Giuseppe Panebianco e Ornella Crapanzano.