Gela. Alla Smim non sarebbero state adottate le necessarie precauzioni per impedire che l’ex operaio Antonio Di Fede inalasse per anni i pericolosi fumi di saldatura. Oggi, l’ex dipendente dell’azienda metalmeccanica si trova a convivere con una grave patologia respiratoria. Il giudice Marica Marino, per questi fatti, ha condannato il proprietario della Smim e i tecnici che avrebbero dovuto monitorare sul rispetto delle misure di sicurezza. Sei mesi di reclusione all’imprenditore ligure Giancarlo Barbieri e quattro mesi ciascuno per Luigi Pellegrino, Giovanni Giorgianni e Giovanni Corbino. All’operaio, invece, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni, come chiesto dal suo legale di fiducia, l’avvocato Giacomo Di Fede. Fu proprio l’ex dipendente a rivolgersi alla magistratura, dopo aver scoperto la malattia. Dopo la chiusura delle indagini, scelse di costituirsi parte civile e ha seguito l’intero procedimento. Al momento della lettura del dispositivo in aula, non ha trattenuto le lacrime. Per il suo legale, c’è stata una diretta correlazione tra la malattia e i fumi di saldatura inalati nel corso di quasi trenta anni di servizio, soprattutto nell’indotto della fabbrica Eni. Una perizia tecnica ha confermato la linea d’accusa. Il pm Sonia Tramontana ha chiesto la condanna di tutti gli imputati, ritenendo che per il ruolo ricoperto in azienda avrebbero dovuto assumere misure, invece mai adottate. Antonio Di Fede e altri colleghi di lavoro, nel corso dell’istruttoria, hanno spiegato di aver avuto a disposizione, per un lungo lasso di tempo, solo semplici mascherine, che potevano fare poco contro i fumi che erano costantemente presenti nei luoghi di lavoro. Il legale dell’operaio ha descritto una quotidianità fortemente precaria, senza le necessarie tutele a garanzia della salute dei dipendenti. Uno spaccato che però le difese di tutti gli imputati, sostenute dagli avvocati Flavio Sinatra, Davide Limoncello, Vincenzo Cilia e Salvatore La Grua, hanno decisamente negato. I legali hanno messo in dubbio l’esistenza di possibili responsabilità penali, non solo nei confronti della proprietà ma anche degli addetti alla sicurezza.
“La Smim non era un Inferno dantesco”, ha chiosato uno dei legali. Sono stati prodotti dati tecnici a sostegno delle loro tesi, fino a mettere in dubbio le conclusioni della perizia tecnica. In base a quanto riferito, non ci sarebbe stata neanche corrispondenza temporale tra i fatti e la presenza in azienda degli imputati. Il giudice, però, ha dato ragione all’accusa e a quanto sostenuto dal legale dell’ex operaio, che dovrà essere risarcito. Le difese sembrano intenzionate a proporre appello.