Roma. Dopo una lunga camera di consiglio, i giudici della Corte d’appello di Roma hanno rivisto al ribasso i verdetti di condanna nei confronti dei presunti fiancheggiatori del clan Rinzivillo, che avrebbero ripreso a mettere radici anche nella capitale. La condanna pronunciata in primo grado dal gup del tribunale capitolino è stata rivista anche nei confronti del presunto nuovo boss della famiglia, Salvatore Rinzivillo. I giudici di secondo grado gli hanno imposto dieci anni e otto mesi di reclusione, a fronte dei quindici anni e dieci mesi decisi al termine del giudizio abbreviato. Il suo legale di fiducia, l’avvocato Roberto Afeltra, anche questa volta ha drasticamente ridimensionato il ruolo di presunto capo che gli inquirenti ritengono sia stato assunto dal fratello degli ergastolani Antonio e Crocifisso. Rinzivillo, in base a quanto emerso dal filone d’indagine “Druso”, avrebbe ordinato la messa a posto delle titolari di un’azienda di vendita all’ingrosso d’ortofrutta e di quello di un noto bar del centro di Roma. Non sarebbero mancati gli atti intimidatori e le minacce. Assolto, invece, Giovanni Ventura, che in primo grado era stato condannato a tre anni e otto mesi. Condanna ridotta a Rosario Cattuto, tre anni e sette mesi di reclusione, mentre il gup gli aveva imposto quattro anni e due mesi. La difesa, sostenuta dall’avvocato Riccardo Balsamo, ha escluso un suo coinvolgimento nel clan, sottolineando l’assenza di elementi d’accusa concreti. Condanne ridotte anche a Paolo Rosa (sei anni e sei mesi rispetto ai sette anni e otto mesi di primo grado), Angelo Golino (quattro anni e sei mesi a fronte dei sei anni e otto mesi di primo grado) e al carabiniere Cristiano Petrone (tre anni e sei mesi rispetto ai quattro anni e sei mesi decisi dal gup).
Il militare è accusato di aver assicurato a Salvatore Rinzivillo l’accesso a dati riservati. L’assoluzione è stata confermata, invece, nei confronti di Francesco Maiorano, stesso verdetto già emesso in primo grado. I giudici della Corte d’appello di Roma hanno confermato il diritto al risarcimento dei danni, riconosciuto alle parti civili. In giudizio, si sono costituiti gli esercenti che sarebbero stati taglieggiati (rappresentati dall’avvocato Piergerardo Santoro), l’associazione antiracket “Gaetano Giordano” e la Fai (con il legale Giuseppe Panebianco). Parallelamente proseguono gli altri giudizi scaturiti dalla maxi indagine antimafia “Extra fines”, negli scorsi mesi seguita da quella ribattezzata “Cleandro”.