Novara. I carabinieri che si occuparono delle indagini e dei rilievi successivi al ritrovamento del cadavere del trentatreenne Matteo Mendola, due anni fa ucciso nei boschi di Pombia, sono stati sentiti in aula dai giudici della Corte d’assise di Novara. In base alle accuse, l’ordine di uccidere il gelese (stabilmente residente in provincia di Varese) l’avrebbe dato l’imprenditore edile Giuseppe Cauchi, adesso a giudizio con l’accusa di omicidio. Debiti sfociati in rivalità lo avrebbero spinto ad assoldare i due killer, Antonio Lembo e Angelo Mancino (condannati in primo grado a trent’anni di reclusione ciascuno). I militari hanno ripercorso le fasi degli accertamenti condotti nei pressi del capannone abbandonato, dove venne ritrovato il cadavere. La pistola usata per finire la vittima fu individuata in un canale, anche questo è stato ricordato in udienza. Cauchi (a sua volta gelese residente da tempo a Busto Arsizio) ha sempre negato di aver avuto rapporti con Mendola. Difeso dagli avvocati Flavio Sinatra e Cosimo Palumbo, deve risponderne in dibattimento.
A tirarlo in ballo, dopo l’arresto, fu proprio Lembo. Ammise subito l’omicidio del trentatreenne, spiegando di averlo fatto su ordine di Cauchi. Sono stati invece acquisiti i verbali delle dichiarazioni, rese in fase di indagine dai familiari della vittima. Alcuni di loro sono parti civili nel giudizio, assistiti dagli avvocati Giancarlo Trabucchi e Anna Maria Brusa.