Gela. I Trubia sarebbero riusciti a controllare il settore della raccolta della plastica nelle aree rurali della città sfruttando il vuoto di potere venutosi a creare tra le famiglie di mafia locali. Una ricostruzione condotta in aula, davanti ai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta, da uno degli investigatori che si occupò di seguire l’inchiesta “Redivivi”. Dopo le condanne di primo grado, emesse dal collegio penale del tribunale di Gela, c’è stata una parziale riapertura dell’istruttoria, con le testimonianze rese da due poliziotti. Così, è stata nuovamente ripercorsa la genealogia dell’intera inchiesta. In primo grado, le condanne sono state emesse nei confronti di Vincenzo Trubia, del ventinovenne Rosario Trubia, Davide Trubia, Nunzio Trubia, Ruggiero Biundo, Luca Trubia, Simone Trubia, Rosario Caruso e del trentenne Rosario Trubia. I difensori escludono l’esistenza di un gruppo criminale, ma in primo grado il collegio ha comunque riconosciuto il “metodo mafioso”. I testimoni stanno rivisitando la “storia” più recente degli equilibri mafiosi dei clan locali. Già la prossima settimana, toccherà ai legali di difesa, gli avvocati Flavio Sinatra, Nicoletta Cauchi, Carmelo Tuccio e Cristina Alfieri, condurre il loro controesame. Tutti gli imputati hanno sempre respinto le accuse, spiegando che la loro era una regolare attività lavorativa svolta nel settore della raccolta della plastica e delle guardianie in diverse zone rurali.
L’indagine partì dopo le prime segnalazioni giunte da altri operatori dello stesso settore, che sarebbero stati estromessi proprio dall’avvento dei Trubia. Sono parti civili, con l’avvocato Giovanni Bruscia. Stessa posizione processuale assunta dall’antiracket “Gaetano Giordano” e dalla Fai (con l’avvocato Giuseppe Panebianco), dal Comune (con il legale Marco Granvillano) e dall’associazione Codici Sicilia (rappresentata dall’avvocato Mario Campione).