Gela. Partiti (almeno quelli che ci mettono il simbolo) presenti giusto per assicurare il marchio che tira di più a questo giro, mezzi veleni, sospetti cavalcati a corrente alternata, confronto pubblico sui temi dei programmi ridotto ai minimi termini, mentre “vecchi” e “nuovi” si fanno la guerra per stabilire chi sia più illibato dell’altro. Ad una settimana esatta dalle urne del 28 aprile, era lecito attendersi di più da una campagna elettorale che almeno potenzialmente dovrebbe traghettare il destino amministrativo della città sulla sponda opposta a quella dove si sono arenate la “grandeur” poi decaduta di Rosario Crocetta, l’eccessiva pacatezza amministrativa di Angelo Fasulo (affossato dall’accordo sulla riconversione della raffineria Eni e dai suoi stessi compagni d’avventura) e il tentativo politicamente autarchico (fallito a quota quattro rimpasti) di Domenico Messinese che dopo la rottura con i grillini è andato incontro ad una plateale sfiducia. I candidati a sindaco si presenteranno alle urne senza infamia né lode. Sono mancati gli slanci politici, probabilmente perché in città la politica ha già abdicato da tempo e gli schieramenti venuti fuori sembrano la prova del nove di quello che non c’è più. Acerrimi nemici diventati alleati, “rossi” e azzurri insieme e sfiduciati spalla a spalla con chi ne ha decretato la fine amministrativa. I simboli ci sono, ma con discrezione. Probabilmente, solo i leghisti che schierano Giuseppe Spata potranno trarre un potenziale giovamento elettorale dall’arrivo in città del loro “capitano”, quel Matteo Salvini che fino a pochi anni fa veniva accolto a suon di contestazioni e che oggi i suoi aspettano per farsi trainare dal successo dei sondaggi. Quattro anni fa, il vento tirava in direzione cinquestelle e i big grillini si spesero non poco per far salire le quotazioni dell’allora pentastellato Domenico Messinese. Oggi, invece, non si sa neanche se il capo politico Luigi Di Maio tornerà a calcare il palco di piazza Umberto I a supporto di Simone Morgana, con l’aggravante che di certo sarà nella vicina Caltanissetta. Per il resto, giusto poche comparsate occasionali di quasi big nazionali, in alcuni casi limitate a messaggi via web e poco altro. Del resto, questa volta, sono pochi i partiti che si stanno esponendo con i simboli ufficiali. Oltre a Lega e Movimento cinque stelle, ci sono Udc, Fratelli d’Italia e Popolo della famiglia (seppur in accoppiata con la civica degli autonomisti).
Per il resto, nel deserto dei loghi spopolano le civiche di partito. Grandi assenti, il Pd ufficiale (confluito nella coalizione “arcobaleno” di Lucio Greco sotto il simbolo “Uniti siamo gelesi”) e Forza Italia. Gli azzurri, addirittura, sono riusciti nell’impresa di prendere il partito e incastrarlo in due diverse alleanze. Gli uomini del deputato regionale Michele Mancuso (nella civica “Azzurri per Gela”) corrono con Greco mentre i supporter della deputata nazionale Giusi Bartolozzi e dell’ex deputato all’Ars Pino Federico stanno con il leghista Spata e affollano le caselle di “Avanti Gela”, in sfregio alla guerra di trincea che in Sicilia contrappone Gianfranco Miccichè ai salviniani. Se nel centrodestra si fa fatica a stare dietro alle folate di chi arriva per approfittare della collocazione giusta, nel centrosinistra che un tempo sbaragliava tutti in città c’è il problema opposto, non si riesce a capire che fine abbia fatto. I dem hanno detto sì a Greco (rinunciando a qualsiasi pretesa identitaria) mentre ex democratici e pezzi di sindacato che contano hanno scelto l’imprenditore Maurizio Melfa. Impensabile, almeno fino a qualche tempo fa. Ad una settimana dal voto, con o senza simboli, chi si meraviglia fa peccato.