Gela. Un dibattimento durato anni e tutto incentrato sui numeri di uno degli ex colossi dell’indotto Eni, il consorzio Conapro. Dirigenti, consulenti, amministratori e dipendenti erano accusati di aver distratto fondi del gruppo, finito fuori dalla raffineria dopo un’interdittiva antimafia. Sarebbero emerse irregolarità nella gestione contabile. Il collegio penale del tribunale (presieduto dal giudice Miriam D’Amore a latere Tiziana Landoni e Angela Di Pietro) ha emesso due sentenze di assoluzione, quella nei confronti dei professionisti che si occuparono della fase di liquidazione e della successiva curatela. Verdetto favorevole è stato emesso nei confronti di Biagio Casì e Francesco Orfè. Assoluzione che solo per un capo di imputazione riguarda anche Giuseppe Passarelli. Quest’ultimo è stato però condannato insieme a Nicola Ingargiola, Luigi Castelluccio, Elio Cacioppo e Orazio Caiola (ritenuti ai vertici del consorzio) a tre anni e tre mesi di reclusione (gli sono state riconosciute le attenuanti generiche). Due anni e sei mesi di reclusione, invece, il collegio li ha imposti a Daniele Burgio, Mario Burgio, Giuseppe Marrale, Filippo Sciascia, Tiziana Cacioppo e Marcello Pausata (anche in questo caso riconoscendo le attenuanti generiche).
Secondo la linea dei pm della procura, in aula con il sostituto Federica Scuderi, avrebbero avuto un ruolo nella bancarotta fraudolenta. Tre anni e tre mesi di reclusione anche a Dario Cacioppo e Rocco Pausata (sempre con circostanze attenuanti). Il pm Scuderi, nel corso della sua requisitoria, ha paragonato la situazione patrimoniale di Conapro ad un “castello di carte”, chiedendo la condanna a sei anni di reclusione per tutti gli imputati. Una ricostruzione che è stata respinta dai difensori. Hanno escluso irregolarità gestionali e soprattutto è stato spiegato che il “declino” economico del consorzio sarebbe stato causato dall’interdittiva antimafia che lo escluse dagli appalti Eni. Per i legali Antonio Gagliano, Flavio Sinatra, Riccardo Lana, Fabrizio Ferrara, Francesco Cagnes e Giuseppe Nicosia non ci sarebbe stata nessuna alterazione della gestione. Le scritture contabili non sarebbero state occultate per evitare che si potesse ricostruire la “storia” contabile del consorzio. Come chiesto dal pm Scuderi, il collegio ha disposto la confisca di un immobile, finito sotto verifica per una presunta transazione ritenuta pilotata. Parti civili erano il fallimento Conapro e l’imprenditore Giovanni Salsetta, proprietario della Edilponti (con gli avvocati Giovanna Zappulla e Giovanni Lomonaco). Proprio da una segnalazione dell’imprenditore partirono le prime indagini. Il collegio penale ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni. Il crack Conapro, con oltre trecento dipendenti, produsse una serie di conseguenze, anche occupazionali. Per le difese, però, su quanto accaduto al gruppo avrebbe inciso un certo clima politico, che iniziava a montare in città proprio in quella fase, con l’avvento della prima giunta dell’ex sindaco Rosario Crocetta.