Gela. Voleva uccidere. L’ha spiegato il sostituto procuratore Ubaldo Leo, al termine della sua requisitoria, chiedendo la condanna del ventiduenne Grazio Pizzardi. Il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Tiziana Landoni e Angela Di Pietro), ha accolto le ragioni dell’accusa, pronunciando la condanna a nove anni di reclusione. Il pubblico ministero ne chiedeva dieci. Il giovane ha sparato contro un suo coetaneo. Venne fermato mentre si trovava ancora tra le strade del quartiere Sant’Ippolito, con la pistola in mano. Utilizzò un’arma giocattolo, modificata per fare fuoco. Il rivale venne ferito al braccio ma riuscì a fuggire. In base a quanto ricostruito dai pm della procura e dai carabinieri, Pizzardi si sarebbe voluto vendicare. In precedenza sarebbe stato minacciato e picchiato dall’altro giovane, suo vicino di casa. L’azione di Pizzardi venne ripresa dai sistemi privati di videosorveglianza della zona. Per gli inquirenti, avrebbe voluto finire il rivale, sparandogli alla testa. La pistola, però, si sarebbe bloccata. La difesa (che ha scelto il rito abbreviato), sostenuta dall’avvocato Carmelo Tuccio, già in fase di indagini ha fatto riferimento allo stato psichico dell’imputato, piuttosto fragile, e al fatto che gli spari sarebbero arrivati solo dopo che venne minacciato con un coltello.
La pistola modificata, in base a quanto raccontò, la nascondeva in una zona di campagna. Sia il perito nominato dai giudici sia il pm Leo hanno comunque escluso che l’imputato fosse incapace di intendere e di volere al momento dei fatti. La difesa ha anche sostenuto la necessità di una riqualificazione del capo di imputazione, da tentato omicidio a lesioni. In base a questa tesi, Pizzardi non sparò per uccidere ma per difendersi. Il ferito si è costituito parte civile, con l’avvocato Giuseppe Fiorenza. Il legale ha chiesto la condanna e ha ottenuto il diritto al risarcimento dei danni. Subito dopo l’arresto, l’imputato ha ammesso di aver sparato.