Gela. “Non sono un collaboratore di giustizia. Non usufruisco del programma di protezione speciale”. Il boss di cosa nostra Giancarlo Giugno ha parlato, in video-collegamento e senza essere ripreso in volto, nel corso del dibattimento scaturito dall’indagine “Polis”. Per i pm della Dda di Caltanissetta, i capi di cosa nostra niscemese e gelese avrebbero favorito l’elezione dell’ex sindaco Francesco La Rosa, garantendo voti alla coalizione che lo sosteneva. “Alessandro Barberi mi pregò di dare una mano a Calogero Attardi – ha detto Giugno – mi disse che lo aveva conosciuto durante quel periodo”. Il gelese Attardi era tra i candidati nelle liste di La Rosa e risultò il più suffragato alle amministrative del 2012. “Personalmente, incontrai il padre di Attardi, Giuseppe, durante la Sagra del carciofo – ha spiegato ancora – a Calogero Attardi avevo già detto di non farsi vedere insieme a me, perché ero un sorvegliato speciale. Ricordo di aver preso un caffè con Giuseppe Attardi. Credo che già sapesse cosa mi aveva riferito Barberi. Mi offrì del denaro per appoggiare la candidatura di suo figlio, ma gli dissi che con c’era bisogno. Mi spiegò che era in buoni rapporti con Antonio Rinzivillo. Probabilmente, la candidatura a Niscemi gli serviva per poi provare in un comune più grande come Gela, anche se penso che il suo vero obiettivo fossero le regionali”. I contatti e gli incontri tra Barberi e Giugno ripresero dopo la scarcerazione del gelese. “Non volevo ritornare in campo – ha detto il boss niscemese rispondendo alle domande del pm della Dda nissena Luigi Leghissa – Barberi aveva ricevuto incarico di ricostruire cosa nostra nissena. C’era l’assenso di catanesi e palermitani. Aveva bisogno di qualcuno che avesse conoscenza pratica degli appalti pubblici che andavano in gara. Io però avevo preso le distanze da tutto e da tutti, pur rimanendo in cosa nostra”.
In dibattimento, a rispondere alle accuse sono finiti Francesco La Rosa, Salvatore Mangione, Giuseppe Mangione, Francesco Alesci, Francesco Spatola e i gelesi Carlo Attardi e Giuseppe Attardi. Anche Giugno risponde alle stesse accuse ma in un diverso giudizio. “Inizialmente ho negato – ha proseguito – solo perché ritengo che il mio apporto sia stato di poco conto. La mia famiglia appoggiava Massimo Amato, mio cognato, poi eletto nelle liste del Pd. So che mio figlio e Calogero Attardi si conoscevano ma non credo che l’abbia sostenuto. Pur nel segreto delle urne, ritengo che mio figlio, che è vicino alla destra, abbia votato per Fabio Bennici”. Giugno ha inoltre fatto riferimento ai suoi rapporti con gli allora candidati a sindaco. “Su La Rosa – ha continuato – Barberi non mi disse nulla ma era chiaro che votando Attardi si sostenevano le sue liste. Con l’avvocato Giovanni Di Martino non ho buoni rapporti. Conosco la sua famiglia, erano mutuati di mio padre. Nel 1991, però, quando mi arrestarono a Genova insieme ad Alessandro Barberi, sindaco di Niscemi era mio cognato Paolo Rizzo. Di Martino fece delle fotocopie della notizia dell’arresto e pur di contrastare la corrente politica di Rizzo, fece addirittura un volantinaggio”. Il Comune di Niscemi è parte civile nel giudizio, con il legale Massimo Caristia. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Maria Concetta Bevilacqua, Gino Ioppolo, Giuseppe D’Alessandro, Rocco Di Dio e Claudio Bellanti.