Gela. Tre operai, che per anni hanno lavorato in raffineria, sono stati ammessi come parti civili nel giudizio avviato contro ex manager e tecnici di Eni ma anche imprenditori dell’indotto. Sono tutti accusati di lesioni a seguito dell’esposizione all’amianto degli stessi lavoratori. Pericolose fibre che hanno contribuito a farli ammalare, almeno in base a quanto contestato dai pm della procura. Niente da fare, invece, per la sezione locale dell’Osservatorio nazionale amianto, non ammessa dal giudice Miriam D’Amore. In base all’ordinanza emessa, manca il requisito formale di una delibera assembleare. Lavoratori e l’associazione sono rappresentati dai legali Davide Ancona e Lucio Greco. I difensori degli imputati hanno contestato proprio la costituzione di tutte le parti civili. Nel giudizio, però, entra la società Raffineria di Gela come responsabile civile, così come chiesto dai legali degli operai e dell’associazione. Le accuse vengono mosse nei confronti di Giancarlo Barbieri, Guido Caporale, Luigi Pellegrino, Sebastiano Caporale, Antonio Catanzariti, Pasqualino Grandizio, Gregorio Mirone, Giancarlo Fastame, Giorgio Clarizia, Giuseppe Genitori D’Arrigo, Francesco Cangialosi, Arturo Borntragger, Giovanni Calatabiano, Giuseppe Farina, Vito Milano, Salvatore Vitale, Giuseppe Di Stefano e Giuseppe Lisciandra.
Gli imputati sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Giacomo Ventura, Attilio Floresta, Flavio Sinatra, Carlo Autru Ryolo, Davide Limoncello, Alessandra Geraci e Gualtiero Cataldo. In base alle contestazioni, non sarebbero state adottate le necessarie misure per impedire l’esposizione all’amianto dei lavoratori impegnati tra gli impianti della fabbrica di contrada Piana del Signore.