Gela. Le contestazioni, così come avanzate, sono improcedibili. Si chiude con il non doversi procedere il giudizio nei confronti di Nicola Santo Martines, accusato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. In base alle accuse dei pm della Dda di Caltanissetta, avrebbe fatto pressioni su un imprenditore, socio di un’azienda che gestisce supermercati in città. Non avrebbe dovuto licenziare la cognata, moglie di uno stiddaro. Fu proprio l’imprenditore a denunciare le presunte minacce subite. In base a quanto ricostruito, il licenziamento era stato deciso dopo una serie di note disciplinari legate al comportamento della dipendente. La donna, invece, ha sempre negato, segnalando di aver ricevuto approcci indesiderati. Il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Antonio Fiorenza) ha escluso l’aggravante mafiosa e disposto il non luogo a procedere. Le accuse erano già state formulate in passato contro Martines, ma furono poi archiviate. I pm della Dda, però, hanno ritenuto che l’imputato abbia fatto pesare le parentele mafiose per intimidire l’imprenditore. In base alle sue dichiarazioni, sarebbe stato pesantemente minacciato anche durante il corteo religioso dell’Immacolata. Il pubblico ministero Matteo Campagnaro ha chiesto la condanna a due anni e quattro mesi di reclusione.
La difesa, sostenuta dall’avvocato Nicoletta Cauchi, non ha solo contestato la fondatezza di quanto ricostruito dall’accusa, ma ha posto l’attenzione anche sul tipo di contestazione mossa a Martines, analoga a quella in passato archiviata. Non ha escluso l’ipotesi del ne bis in idem. Per il difensore, inoltre, l’imprenditore non avrebbe fatto chiarezza sulle vere ragioni del licenziamento. Il titolare si è costituito parte civile, con l’avvocato Filippo Spina. Il legale ha insistito per la condanna, sottolineando le pressioni continue patite dall’imprenditore, che sarebbe stato più volte minacciato.