Gela. Sono emerse ipotesi di responsabilità nei confronti dell’amministratore unico e rappresentante della società proprietaria dell’ormai ex opificio per il crollo avvenuto la notte dell’1 novembre 2011 e il successivo intervento di demolizione.
Lo ha stabilito il pubblico ministero Elisa Calanducci che ha avviato, coordinato e diretto le indagini sviluppate dalla Aliquota della guardia di finanza della sezione di Pg della Procura, con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Sono emerse responsabilità anche nei confronti del consulente tecnico della proprietà, nonché direttore e coordinatore nei lavori di demolizione dell’immobile, del legale rappresentante dell’impresa che materialmente ha eseguito i lavori di demolizione. Gli inquirenti che parlano di “indagini rese particolarmente difficoltose da dichiarazioni ambigue e contraddittorie, palesemente mal conformate rispetto ad un crollo apparentemente accidentale” ipotizzano la presenza del reato di inosservanza all’ordine dell’autorità (art. 650 c.p.), omesso intervento a fronte di pericolo di crollo (art. 677 c.p.) e violazione della normativa urbanistica.
Il crollo avvenne in concomitanza con la valutazione della proposta di apporre un vincolo etno-antropologico sull’immobile, a salvaguardia del passato della comunità locale, in quanto costituiva testimonianza delle tradizioni del luogo. Nella fattispecie, l’immobile ubicato sul lungomare Federico II di Svevia, ricadeva in area di tutela di livello 3, come da Piano paesaggistico territoriale del 2009 con decreto del direttore generale dell’assessorato regionale ai Beni culturali e ambientali.
Gli inquirenti hanno confermato che l’immobile, alla vigilia del crollo, versava in stato di abbandono, malgrado il comune avesse intimato ai proprietari con un provvedimento di eseguire interventi urgenti e indifferibili necessari alla salvaguardia del decoro urbano e per evitare pericoli per la pubblica incolumità. L’ordine fu ignorato e alle 3 di notte del primo novembre di due anni fa, l’ex opificio crollò definitivamente innescando la reazioni delle associazioni Lipu, Terra nostra, Lega ambiente, Archeoclub, Trinakria e Cittadini attivi, che avevano presentato osservazioni al Piano regolatore proponendo di inserire l’area che comprende l’edificio nel contesto “centro storico extra-moenia”, perché contraddistinto da parti storiche rilevanti fuori dalle mura federiciane.