Gli affari dei Rinzivillo nell’inchiesta “Tagli pregiati”, il giudizio d’appello slitta a febbraio

 
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Gela. Un vizio di notifica ha fatto slittare l’avvio del giudizio d’appello dopo le condanne imposte dal collegio penale del tribunale di Gela agli imputati coinvolti nel maxi blitz antimafia “Tagli pregiati”. Nell’estate di un anno fa, il collegio presieduto dal giudice Lirio Conti (a latere Marica Marino e Silvia Passanisi) pronunciò dodici verdetti di condanna. Gli imputati sono accusati di aver avuto un ruolo negli affari della famiglia Rinzivillo, attiva anche nel nord Italia. La mancata notifica ha impedito l’apertura del giudizio di secondo grado, rinviata al prossimo febbraio. In primo grado sono state emesse pesanti condanne dopo un’istruttoria dibattimentale fiume, protrattasi per anni. Tredici anni e quattro mesi di reclusione al catanese Giorgio Cannizzaro, dodici anni e otto mesi ad Alfredo Santangelo, otto anni ciascuno per Mirko Valente e Salvatore Arria, sette anni e mezzo a Claudio e Vincenzo Alfieri, sette anni al magrebino Mhmdhi Jamil, sei anni a Francesco Angioni, Simone Di Simone, Rosario Saccomando e Francesco D’Amico, quattro anni al collaboratore di giustizia Angelo Bernascone. L’assoluzione è arrivata, invece, per Emanuele Terlati, Roberto Ansaldi, Benito Rinzivillo, Ileana Curti, Giovanna Guaiana, Maura Bartola, Matteo Romano, Patrizio D’Angiò e Salvatore Azzarelli. I difensori hanno impugnato le decisioni e adesso tocca ai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta valutare le posizioni processuali. In primo grado è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni alle associazioni antiracket costituite e a due degli estorti. Nel processo si sono costituite l’associazione antiracket “Gaetano Giordano” con l’avvocato Giuseppe Panebianco, il Comune con il legale Salvatore Caradonna, la Federazione antiracket con l’avvocato Ugo Forello e la fondazione antiusura padre Pino Puglisi con il legale Carmelo Picciotto. Gli affari del gruppo Rinzivillo sarebbero stati gestiti attraverso l’apporto dei clan catanesi, per il tramite di Giorgio Cannizzaro e Alfredo Santangelo.

Non sarebbero mancati gli imprenditori di fiducia, scelti per cercare di acquisire finanziamenti costituendo società ad hoc, principalmente in Lombardia. Nodi strategici erano la zona di Busto Arsizio e dell’hinterland di Varese. Le casse della mafia gelese sarebbero state riempite sfruttando anche settori tradizionali come il giro di droga e le estorsioni. Gli investigatori non hanno trascurato neppure la gestione di manodopera in nero che veniva utilizzata nei cantieri edili. Gli imputati, in primo grado, sono stati difesi, tra gli altri, dagli avvocati Giacomo Ventura, Flavio Sinatra, Maurizio Scicolone, Nicoletta Cauchi, Raffaela Nastasi, Cristina Alfieri, Fabio Nocera, Vania Giamporcaro, Fabio Schembri, Vincenzo Lepre e Maurizio Forte.

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