Gela. Il bullismo è un fenomeno in ascesa, basti pensare alla vicenda del ragazzo picchiato da un suo coetaneo all’uscita della scuola, in un parcheggio a pochi metri dall’Istituto Romagnoli. L’accaduto è stato immortalato da un video fatto da un altro giovane studente e diventato virale tramite i social network e le chat di messaggistica istantanea. La cronaca, soprattutto negli ultimi anni, riporta alla ribalta episodi di bullismo. Sono tante le domande sui mezzi con cui combattere questo fenomeno in costante crescita e sul ruolo della famiglia e della scuola in tale contesto. L’Istituto Romagnoli da anni è in prima fila in questo campo con attività di informazione, che hanno lo scopo di sensibilizzare gli alunni sul fenomeno. Questa è sicuramente l’epoca della crisi delle istituzioni educative, dalla famiglia, alla scuola, alle strutture ecclesiastiche. “Tutte le scuole della città si stanno spendendo tanto per fronteggiare questo fenomeno – dichiara Sandra Miccichè operatore psicopedagogico scolastico – il problema, secondo me, è che manca una sinergia di interventi. I ragazzi dentro la scuola sono tutelati, poi escono fuori e vige la legge della giungla. Noi, come scuola, possiamo fare un appello a tutti: che i nostri sforzi, le nostre attività educative non cadano nel vuoto, perché i giovani di oggi devono capire che non ci si fa strada con la forza fisica e con la sopraffazione e che ci sono altre strade da percorrere, segnate invece dalla forza di cambiare le cose ed il coraggio di osare, ma purtroppo, ad oggi, questo non è stato percepito. Bisogna rafforzare i rapporti tra scuola, famiglie e agenzie educatrici per arginare il fenomeno, perché bisogna avere una linea comune; se un mio compagno mi fa uno sgambetto, la linea comune dovrebbe essere quella di dirlo all’insegnante, così questa darà il giusto provvedimento, invece può darsi che al di fuori dei vari contesti si percepisca di reagire con la forza”.
Anche il fenomeno del cyberbullismo si può fermare attraverso un controllo sull’uso di smartphone e tablet. Educare i giovani, dando limiti e regole. “I ragazzi sono molto controllati all’interno dell’Istituto, infatti non posso usare i cellulari, anzi li lasciano spenti sulla cattedra dell’insegnante – continua la dottoressa Miccichè – perché c’è un regolamento d’istituto, come in questa scuola ma come anche in tante altre scuole della città. Bisogna anche educare i ragazzi sull’uso di questi strumenti elettronici fuori dal contesto scolastico. Molti di questi giovani si frequentano anche al di fuori della scuola, quindi non si sa se il caso di cui parliamo sia iniziato dentro l’istituto o, già nei giorni precedenti, in altri contesti; su questo stiamo indagando per capire bene la dinamica dei fatti, perché come educatori e formatori abbiamo il dovere di agire e capire. È normale che tra i ragazzi ci siano delle incomprensioni, il problema riguarda le modalità di gestire queste incomprensioni. C’è una liberatoria firmata dai genitori per la quale, fino al cancello – conclude – noi abbiamo la responsabilità, dopo il cancello, se il genitore firma affinché il figlio possa andare a casa da solo, noi non abbiamo la responsabilità di quello che succede”.