Gela. Il modello antiracket esportato anche oltre i confini territoriali. Quel che sembrava prima impensabile oggi diventa “normale”. Ed allora accade che una impresa gelese faccia arrestare un estortore a Taranto. Uno che pretendeva di essere assunto dall’impresa Amarù, che nella città pugliese sta svolgendo lavori per conto di Eni.
Un esempio di come il vento sia realmente cambiato. Rosario Amarù è presidente provinciale di Confindustria, e quell’arresto non lo ritiene casuale. “Fa parte della nostra filosofia aziendale – dice – dall’ultimo dei dipendenti ai manager, tutti sanno che da noi la legalità è alla base di ogni principio. Ecco perchè quella denuncia non è una sorpresa”.
Grazie proprio alla denuncia del capo cantiere dell’impresa Amarù a Taranto, anche lui gelese, sono scattate le manette ai polsi per il tarantino Pasquale Monna, conosciuto negli ambienti giudiziari. «Se non mi assumete vengo col “ferro” e combino un casino». Sono queste le parole che aveva pronunciato per minacciare i dirigenti dell’azienda pretendendo l’assunzione per sè ed altri due suoi conoscenti.
La squadra Mobile tarantina ha arrestato Monna in un bar abusivo che aveva allestito in una baracca davanti proprio all’ingresso della raffineria Eni sulla statale 106. Il 36enne venne incastrato grazie proprio alla denuncia presentata dall’impresa gelese alla Squadra Mobile, nonchè dalle indagini immediatamente avviate e da intercettazioni telefoniche. Monna fermò il dirigente di un cantiere all’uscita dello stabilimento per chiedergli di essere assunto. Allo sconosciuto lo stesso avrebbe risposto di inviare, come prevede l’azienda in questi casi, un curriculum per posta elettronica.
Ad una settimana di distanza il 36enne, forse venuto a conoscenza dell’assunzione di due operai qualificati, si presentò nella sede della società e consegnò il suo curriculum riferendo al responsabile «adesso vedi quello che devi fare». Come risposta ricevette l’informazione che era l’azienda a decidere le assunzioni. Monna però ha insistito. «So benissimo che avete già assunto due tarantini quando invece toccava a me».
Infuriato per la mancata risposta, strappò il curriculum dalle mani del gelese e minacciò tutti: «Non sapete con chi avete a che fare, con le buone o con le cattive io devo lavorare nella vostra azienda». Due giorni dopo il tarantino si presentò insieme ad altre quattro persone e consegnò tre curriculum, il suo e quelli di altri due amici. «Mettili sopra tutti gli altri, sai tu cosa devi fare».
L’uomo era persino arrivato a minacciare anche gli operai già assunti dall’azienda. Quel posto toccava a me, gli diceva continuamente. Se non se fossero andati via spontaneamente sarebbe arrivato con una pistola, il “ferro ”, e avrebbe sparato. A denti stretti gli stessi investigatori hanno ammesso che casi come quello dell’impresa Amarù sono rari in Puglia. Il modello antiracket fa scuola.