Gela. Nelle aree a rischio, soprattutto in quelle industriali, neanche la fertilità maschile può dirsi immune da danni. Emerge da uno studio, tutto italiano, presentato al congresso europeo Eshre, la Società di riproduzione umana ed embriologia. Come riporta Repubblica.it, i ricercatori italiani hanno lavorato su un campione di oltre duecento uomini, di due diverse aree della Campania, quella della terra dei fuochi e il Sele, con tassi di inquinamento invece minimi. “Notando nel seme, e non nel sangue, differenze significative in termini di bioaccumulo di metalli pesanti – ha spiegato il coordinatore Luigi Montano – in particolare cromo, insieme a danni per lo stress ossidativo, riduzione degli enzimi antiossidanti, allungamento dei telomeri spermatici e danni al Dna degli spermatozoi”. Per i ricercatori, quindi, proprio il seme, probabilmente più del sangue, potrà essere utilizzato come biomarcatore, utile ad individuare l’incidenza del rischio ambientale in diverse aree.
“Ricerca da estendere ad altre aree inquinate”. Uno studio che i coordinatori, adesso, vogliono estendere ad altre zone altamente inquinate, compresa quella di Gela. “Un dato oggettivo e indiscutibile può aiutare a intervenire subito – ha detto ancora – e il progetto mira infatti a studiare gli spermatozoi di chi vive in altre aree inquinate del paese, Gela, Piombino, Taranto. Usando il seme maschile come indicatore precoce dello stato di salute dell’ambiente e della popolazione”. Dopo i primi dati del nuovo rapporto Sentieri dell’Istituto superiore di sanità e quelli resi noti dalla Regione per le aree Sin, con dati allarmanti per la salute di chi vive in città, arriva un altro tentativo di fare chiarezza sugli effetti della presenza industriale, che inciderebbero in maniera pesante anche sulla fertilità umana.