Gela. Sono accusati di falso e omissione delle misure necessarie ad impedire disastri o infortuni sul lavoro. Per questa ragione, si è aperto il processo a carico di quattro responsabili locali della fabbrica Eni.
Due anni fa, l’ex amministratore delegato Battista Grosso, il suo successore Bernardo Casa, il responsabile del parco serbatoi Salvatore Lo Sardo e il coordinatore del servizio prevenzione e protezione Aurelio Faraci: finirono sotto indagine a causa di presunte irregolarità riscontrate nelle linee antincendio utilizzate nell’area del pontile principale dello stabilimento.
Ieri mattina, il giudice Domenico Stilo ha dovuto subito pronunciarsi sull’ammissibilità della costituzione di parte civile proposta dall’ente comunale e dalla provincia regionale di Caltanissetta. Ipotesi contestata dalla difesa degli imputanti.
Secondo i legali dei quattro responsabili Eni, infatti, non essendo prevista una vera e propria ipotesi di reato ambientale: l’unico ente legittimato a costituirsi parte civile sarebbe dovuto essere il ministero competente in materia.
Gli avvocati di comune e provincia, invece, hanno diametralmente escluso la tesi proposta dai colleghi della difesa. Dopo una breve sospensione, è stato proprio il giudice Domenico Stilo a dare il proprio benestare alla costituzione di parte civile dei due enti.
“Le condotte ascritte agli imputati – ha detto in aula – sono tali da mettere a repentaglio situazioni giuridiche delle quali si fanno portatoti proprio gli enti locali”.
Durante le indagini, coordinate dai magistrati della procura ed eseguite dai militari della guardia costiera, emerse il rischio che dalle linee antincendio potessero fuoriuscire idrocarburi a causa di presunti collegamenti di comodo non indicati nella documentazione ufficiale.