Gela. Respinte le eccezioni preliminari dei difensori, è stato aperto il dibattimento contro i presunti componenti di un vasto gruppo di tombaroli, sia gelesi che catanesi, che avrebbero operato in diversi siti archeologici, in città e nella zona del ragusano. A monitorare spostamenti e contatti, i finanzieri dell’aliquota di polizia giudiziaria della procura, che hanno portato avanti l’indagine “Agorà”. “Ci siamo concentrati – ha detto uno dei militari – proprio sulle mosse di un gruppo di gelesi, che incontravano spesso alcune persone di Paternò. Si spostavano nei siti archeologici e lì iniziavano ad operare. Normalmente, gli incontri avvenivano in un bar sul lungomare”. I finanzieri li hanno seguiti, anche di notte, quando gli imputati avrebbero tentato la sortita, cercando di recuperare reperti archeologici di valore. A processo, sono finiti Orazio Pellegrino, Simone Di Simone, Giuseppe Orfanò, Francesco Rapisarda, Vincenzo Peritore, Pietro Giannino, Rocco Mondello, Francesco Cannizzaro, Vincenzo Strabone, Giuseppe Cassarà, Piero Cassarà, Salvatore Cassisi, Pasquale Messina, Amedeo Tribuzio, Vincenzo Cassisi, Nicola Santo Martines, Mihaela Ionita, Giuseppe Rapisarda, Francesco Musumeci, Benedetto Cancemi e Gaetano Di Simone.
“I contatti per piazzare quello che veniva recuperato – ha detto ancora il finanziere – li tenevano soprattutto Simone Di Simone e Orazio Pellegrino”. Gli inquirenti sono convinti che i reperti recuperati dal gruppo finissero in una sorta di mercato parallelo, acquistati da esperti. Il pubblico ministero Luigi Lo Valvo ha chiesto una perizia sul contenuto delle intercettazioni, soprattutto telefoniche, che dovrebbe contribuire a valutare ancora meglio i rapporti tra tutti gli imputati. Nel pool difensivo, ci sono gli avvocati Davide Limoncello, Salvo Macrì, Giovanni Cannizzaro, Maurizio Scicolone, Nicoletta Cauchi, Ivan Bellanti, Giovanni Lomonaco, Ivo Russo, Paola Carfì e Giuseppe Sinatra.