In questo nostro lavoro,desideriamo soffermarci marginalmente su un problema che assilla il nostro sistema pensionistico: la previdenza sociale,che i nostri legislatori,attraverso leggi e leggine hanno provocato un disastro madornale. Oggi nessuno è più sicuro di arrivare a godersi il meritato riposo,dopo tanti anni di lavoro perché la pensione è a rischio. Nel Regno delle Due Sicilie, povero e arretrato come i nostri colonizzatori ci hanno tramandato, già nel 1751 e nel 1789, con il Reale Albergo dei poveri e l’esperimento sociale a San Leucio, vennero classificati i diritti e i doveri degli abitanti-lavoratori della colonia.
Il primo sistema pensionistico d’Europa prese forma nel 1813 nella Napoli di Gioacchino Murat in cui fu istituita una trattenuta del 2% sugli stipendi degli impiegati statali. Questo sistema fu integrato ed applicato nel regno delle Due Sicilie, tenendo ferme le teorie di Murat. Negli anni successivi del 1818 e nel 1821, nuove forme di previdenza furono integrate con la istituzione di una Cassa delle pensioni e sovvenzioni di professori giubilati addetti ai reali teatri e successivamente il trattamento di giubilazione che erogava una pensione volturabile per eredità alle vedove. Nel 1897 il Regno d’Italia assicurava la previdenza attraverso la Cassa Giubilati che nel 1952 si trasformava nell’EMPAS, l’Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i lavoratori dello spettacolo e dello sport professionistico. Particolare attenzione fu prestata agli invalidi, come si legge all’art. 1 del Regolamento per la Real Commissione di Beneficenza costituita il 4 gennaio 1831 che prevedeva anche sussidi temporanei o perpetui per coloro che, per fisico impedimento, non potevano più sostenersi. Questi assegni di invalidità furono istituiti in Italia solo nel 1984. Oggi il sistema pensionistico italiano è al collasso e con la politica del rigore che ha prodotto disoccupazione crescente e contrazione del prodotto interno lordo (PIL), rendendo i contributi dei lavoratori insufficienti a pagare le pensioni degli anziani, perché diminuiscono sensibilmente. Il risultato è che sono sempre di più i pensionati a sostenere le famiglie dei giovani, mentre sarebbe bastato comportarsi come nel Regno delle Due Sicilie, contenendo la pressione fiscale e facendo confluire le ritenute sulle pensioni e stipendi dei lavoratori su fondi ad personam secondo il principio della capitalizzazione. Questo mondo, arretrato e ignorante, secondo la tradizione dei nostri colonizzatori Lombardi, ancora oggi avrebbe potuto insegnarci tante cose se venisse studiato oggettivamente.
Le due forme di meridionalismo che oggi si trovano di fronte uomini e donne desiderosi di risolvere i problema che assilla tutto il meridione, sono in parte antitetici. La prima questione è quella del revisionismo storico, dove il meridionale che conosce i fatti che si sono verificati dall’estate del 1860, vuole proporre la questione perequativa derivata dall’aggressione e dalla spoliazione subita di rivendicare una parità di trattamento tra nord e sud per risolvere la disparità esistente. Dall’atra parte il meridionalista tradizionale che si appoggia alla tradizione di un popolo politicamente ed economicamente molto più avanzato di tutti gli stati Italiani, antecedenti al 1860 per riprendere il cammino dello sviluppo economico e sociale del nostro territorio. Questo secondo aspetto è quello che ci ispira maggiormente perché ci mette al riparo dei condizionamenti strumentali che i nostri colonizzatori hanno voluto inculcarci in tutti questi anni di dominio assoluto. Abbiamo assimilato che siamo stati mantenuti dai nordisti e che noi meridionali parassiti, non abbiamo voglia di lavorare, anzi felicissimi di vivere da mantenuti ci sdraiamo all’ombra di qualche baobab (è un albero dalle mille applicazioni, anche salutari) con un grande sombrero in attesa che cada la frutta matura per evitare la fatica di raccoglierla. Questa la teoria dei tosco padani che noi perfetti imbecilli abbiamo assimilato attraverso gli insegnamenti della nostra cultura prezzolata, della nostra classe teatrale ridicola e in particolare della nostra classe politica venduta e disonesta. I nordisti, nostri liberatori, hanno invaso il territorio del sud, l’hanno scippato di ogni bene materiale, spirituale e sfruttato per il bene della nazione Italia anche trafugando dalle nostre chiese ogni bene per venderlo nei mercatini delle nostre città, sempre per un fine più grande: l’Italia. Tutto questo per creare una massa enorme di servi narcotizzati manipolabili sacrificabili agli interessi delle consorterie che coltivano il diabolico disegno di dominio del mondo. Noi siamo addestrati a subire passivamente quasi si trattasse di una calamità nazionale e non il futuro frutto di un disegno predatorio che ci ha condotto verso la vergognosa tragedia della disoccupazione giovanile che priva il territorio delle forze migliori e la nostra patria, definita da Giacinto de Sivo “il sorriso del Signore”, può trasformarsi nel breve periodo in un desolato ospizio di vecchi. Non vogliamo essere assassini come i nostri partigiani liberatori che dopo l’8 settembre del 1943, quando Badoglio e il re Sabaudo con le valigie piene di soldi, abbandonarono l’Italia per trovare rifugio in una nazione non belligerante, mentre i partigiani facevano massacrare i soldati Italiano alla sfascio, perché non sapevano con chi stare. Noi ci affidiamo alla cultura Italiana antecedente al 1860 perché le loro dichiarazioni erano dettate da spirito patriottico non condizionato come il resto dei poeti risorgimentali. Quel grido è il nostro grido e non ci stanchiamo mai di ricordarlo, sveglia meridione, prendiamo coscienza della realtà storica, perché cancellando la storia, cancelliamo il nostro futuro . (fonte prof.Maduli)
Bravo, menomale che qualcuno ci pensa a svegliare questo popolo meridionale rimbecillito dai media mainstream e dai libri fasulli di di storia della scuola!
Poiché ritengo sia interesse della redazione del “Quotidiano di Gela” evitare di fornire ai suoi lettori notizie sbagliate o fuorvianti, con riferimento a questo articolo preciso che: 1. nè nel 1751 né nel 1789 esisteva il “Regno delle Due Sicilie”, che sarebbe nato con R.D. 8 dicembre 1816, n. 565; 2. Nessuna delle norme contenute nel cosiddetto “codice di S. Leucio” venne mai applicata al di fuori dei confini della colonia; 3. È falso che “il primo sistema pensionistico d’Europa” sia nato nella Napoli di Murat nel 1813. Per restare solo all’Italia, il sistema era già stato introdotto nel napoleonico Regno d’Italia con i decreti 12/2/1806, n. 8 e 27/3/1807, n. 55. Le “pensioni di riposo” erano comunque previste, con norme diverse, in tutti gli stati preunitari. Nel Regno di Sardegna, per fare un esempio caro ai nostalgici dei Borbone, i dipendenti statali avevano diritto alla pensione di riposo in relazione agli stipendi percepiti ed all’anzianità di servizio. Per fare un esempio, l’insegnante che si ritirava con 32 anni di insegnamento percepiva una pensione pari all’intero stipendio (cfr. regi biglietti del 30 giugno 1832 e 14 ottobre 1834). 4. Ovviamente le pensioni di invalidità vennero introdotte non nel 1984, ma nel 1919. Per non annoiare, evito di elencare le iniziative poste in essere a fini assistenziali per tutto il XIX secolo.