Gela. È fuori pericolo ma ha perso la vista all’occhio destro Fabio Matteo Vaccaro, 47 anni, l’agente di polizia ferito la notte scorsa a Gela da un disoccupato di 42 anni, Giuseppe Licata, ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia dopo avere sparato dal balcone ai passanti.
L’agente è stato sottoposto nell’ospedale Garibaldi-Centro di Catania ad un delicato intervento chirurgico durante il quale è stato rimosso un pallettone di piombo che era penetrato nello zigomo. Le condizioni dell’uomo sono buone ma la prognosi rimane riservata.
Aveva una strana ossessione Giuseppe Licata . Temeva che gli rubassero la macchina. Venerdì pomeriggio Licata era stato in ospedale, accompagnato dalla madre, perchè si sentiva male. Ma una volta al pronto soccorso, avrebbe rifiutato le cure. Tornato a casa, l’uomo – che lavorava saltuariamente come bracciante o come manovale nell’edilizia – ha imbracciato il fucile da caccia tenendo in ostaggio il suo quartiere per 5 ore. Licata abitava con i genitori – la madre Antonina, 70 anni, e il padre Antonio di 74, invalido – al primo piano di un palazzetto con quattro elevazioni. I vicini lo descrivono come un tipo taciturno, un pò irascibile ma non violento. Durante la sparatoria la madre è scappata da casa, mentre il padre, invalido, è rimasto nell’appartamento.
Prima di rimanere ucciso nel conflitto a fuoco con i 50 poliziotti che avevano circondato la casa, Giuseppe Licata, in preda a un raptus di follia, ha sparato dai 25 ai 30 colpi di fucile da caccia (Beretta Calibro 12) caricati alcuni a pallini, altri a pallettoni». «Il fucile, che poteva contenere tre cartucce, è stato perciò caricato una decina di volte, dato che l’uomo disponeva di 1.500 colpi», ha aggiunto il questore. Licata deteneva l’arma legalmente perchè nel 2002 aveva conseguito la licenza di caccia, mai più rinnovata, anche se pare che praticasse sempre l’attività venatoria. «Prima di fare irruzione nell’appartamento – racconta il vice questore Gaetano Cravana – abbiamo cercato in tutti di modi di farlo arrendere e di consegnare l’arma; abbiamo chiamato la madre che era fuggita dall’alloggio, abbiamo fatto intervenire i suoi amici più cari e persino la psichiatra che l’aveva in cura, ma non c’è stato nulla da fare».