Gela. Nel corso della conferenza stampa che ha portato all’arresto di Antonello Montante e di altre cinque persone, il Procuratore Amedeo Bertone ha sottolineato che “quaranta persone sono state oggetto di dossieraggio, attraverso l’acquisizione di dati sensibili: si tratta, tra gli altri, di magistrati e giornalisti. I favori concessi? Posti di lavoro per famigliari di esponenti delle forze dell’ordine”.
Si fa riferimento a quanto rinvenuto dagli agenti della Squadra Mobile di Caltanissetta all’interno di una stanza “segreta” sita al piano seminterrato dell’abitazione, l’accesso alla quale risultava occultato da una finta parete a libreria (dietro la quale era celata una porta blindata).
Dentro un vero e proprio archivio, sia cartaceo che elettronico, su cui conservava tutto, dai telegrammi, alle email, sms, i regali fatti, contributi concessi, fotografie con ministri, politici, capi della polizia.
Un archivio segreto nascosto, diviso in cartelle di colore diverso e cd-rom custoditi in un vero proprio bunker allestito dietro una parete segreta della sua stanza da letto. Nella stanza era stato trovato anche una sorta di memoriale di oltre mille pagine su cui gli inquirenti hanno indagato in questi due anni.
“Montante aveva un archivio idoneo a paralizzare le eventuali azioni di contrasto di altri nei suoi confronti”, ha aggiunto il procuratore Bertone.
Chi non si adeguava all’idea di Montante veniva tacciato di “mafiosità” o di non meglio precisate collusioni con un sistema di potere che si voleva ormai dissolto e, a parole, definitivamente superato, in particolare caratterizzato da collusioni tra imprenditori, politici ed esponenti mafiosi, al cui interno poter ricomprendere, di volta in volta ed in maniera indiscriminata, tutti coloro che non si adeguavano al “nuovo corso” da lui voluto e propugnato in nome della legalità, veicolando all’esterno l’immagine di una svolta legalitaria (solo proclamata) che al ritorno di quel pregresso modello si opponeva tenacemente.
Montante ha tentato con ogni mezzo di indurre al silenzio le persone in grado di riferire circostanze compromettenti sul suo conto, in particolare sui rapporti intrattenuti in passato con esponenti mafiosi della provincia di Caltanissetta, operando in modo da screditarne surrettiziamente l’attendibilità, così da annullare il valore del contributo da queste offerto per l’accertamento della verità.
I ripetuti tentativi di depistare le indagini – peraltro ispirati da ripetute fughe di notizie riconducibili a contesti istituzionali “prezzolati”, collegati all’imprenditore – non hanno sortito l’effetto sperato solo perché l’attività di intercettazione, eseguita nei riguardi di molteplici obiettivi, ha puntualmente anticipato le mosse dell’indagato, spesso prevenendo i reiterati tentativi di occultare le prove a suo carico o di esercitare indebite pressioni su persone informate dei fatti. Persino le dichiarazioni dai rendere ai pm di persone informate sui fatti erano concordate da Montante.
Talmente era la rete di corruzione che Montante avrebbe saputo anche delle dichiarazioni in essere dei pentiti nei suoi confronti custodite nelle banche dati della polizia penitenziaria.