Gela. Medici e inquirenti che, nel corso del tempo, hanno valutato decine di casi di lavoratori della fabbrica Eni affetti da gravi patologie o, addirittura, già deceduti. In aula, davanti al giudice Miriam D’Amore, sono stati sentiti proprio due specialisti, scelti come consulenti dalla procura, e un sergente della capitaneria di porto, impegnato nelle indagini. Le accuse, compresa quella di omicidio colposo, vengono mosse ad ex manager di Eni, tecnici e ad imprenditori dell’indotto della fabbrica di contrada Piana del Signore. A processo, sono finiti Angelo Tuccio, Salvatore Di Guardo, Gioacchino Gabbuti, Francesco Fochi, Antonio Borgia, Pier Giorgio Covilli, Giancarlo Picotti, Cesare Riccio, Antonio Catanzariti, Gregorio Mirone, Giancarlo Fastame, Giorgio Clarizia, Ferdinando Lo Vullo, Giuseppe Genitori D’Arrigo, Francesco Cangialosi, Luciano Di Buò, Salvatore Maranci, Vito Milano, Orazio Sorrenti, Vincenzo Piro, Aurelio Faraci, Giuseppe Di Stefano, Giuseppe Lisciandra, Salvatore Di Dio, Andrea Frediani, Giacomo Rispoli, Giuseppe Ricci, Battista Grosso, Arturo Borntraeger, Giovanni Calatabiano, Giuseppe Farina, Salvatore Vitale, Antonio Fazio, Giovanni La Ferla e Renato Monelli.
L’amianto in raffineria. Nel corso dell’esame, i medici chiamati a testimoniare non hanno escluso un collegamento tra le patologie riscontrate su molti lavoratori e l’esposizione soprattutto all’amianto. E’ questo, infatti, il punto cardine delle contestazioni. Gli imputati, stando alle accuse, non avrebbero adottate le misure necessarie ad impedire il contatto con le fibre killer. “Almeno fino al 1995 – ha detto il militare della capitaneria di porto – non esistevano permessi di lavoro che prevedessero rischio amianto”. Molti dubbi si sono concentrati, nel corso delle indagini, sulla limitatissima presenza di certificati di restituibilità, legati alla presenza di amianto nei luoghi di lavoro. I difensori di tutti gli imputati, invece, mettono in discussione che possa esserci un nesso tra la presenza di amianto e la patologie riscontrate, ribadendo il rispetto di tutti i protocolli di prevenzione. I testimoni hanno risposto alle domande del pm Mario Calabrese. Sono due i lavoratori morti, le cui vicende vengono approfondite in dibattimento, oltre a quelli affetti da patologie. Parti civili nel procedimento sono l’Osservatorio Nazionale amianto e l’associazione Aria Nuova, con gli avvocati Maurizio Cannizzo, Lucio Greco, Davide Ancona ed Ezio Bonanni, oltre ai lavoratori oggi malati e ai familiari di quelli morti, in giudizio con gli avvocati Vittorio Giardino, Paolo Testa, Concetta Di Stefano e Antonio Impellizzeri e Laura Caci. Le indagini, condotte dai militari della capitaneria di porto e da quelli dell’aliquota di polizia giudiziaria, si sono estese ad un lungo arco temporale. Responsabili civili, in giudizio, sono sia Raffineria di Gela sia Sindyal. Nel pool di difesa, infine, ci sono gli avvocati Giacomo Ventura, Raffaela Nastasi, Alessandra Geraci, Filippo Spina, Gualtiero Cataldo, Luca Mirone, Nicola Granata, Carlo Autru Ryolo, Carlo Federico Grosso, Attilio Floresta, Salvatore Panagia e Michele Castellano.