Gela. Difficile parlare di calcio giocato, di rincorsa play off, del calendario che potrebbe apparire favorevole, di quanto la Sancataldese sia ostica, dello stadio Dino Liotta che non sempre ha portato fortuna. La testa peserà più delle gambe domani pomeriggio a Licata. La Sancataldese potrà giocare con la serenità che la contraddistingue. In casa Gela è un termine sconosciuto. Non c’è mai stata una sola settimana in cui Terranova ed i giocatori abbiano potuto allenarsi e giocare pensando solo ed esclusivamente alla partita. Romano prima, Terranova poi, hanno dovuto sempre dovuto isolare la squadra dal resto. Come si fa a giocare con entusiasmo, motivazioni, quando nella stanza accanto dirigenti e collaboratori annunciano alla stampa l’intenzione di mollare? Sia chiaro. Dal punto di vista economico sin qui la famiglia Mendola non ha fatto mancare nulla ai suoi tesserati. Sul resto soprassediamo. Il calcio non è solo una palla che rotola o un passaggio azzeccato. C’è un contesto attorno.
In tutta questa vicenda ci sono due vittime: giocatori e tifosi. Che colpa hanno loro? Gli ultrà fanno il loro dovere. Hanno protestato sfidando il freddo e la Digos fino a pochi giorni fa in piazza San Francesco. Ci mettono la faccia, percorrono chilometri, piangono e gioiscono per i loro colori. Non meritano tutto questo. Nessuno vuole ripeterlo ma il pensiero è quello… “Un altro 2011 no!”.
Poi ci sono i giocatori. Non saranno fenomeni. Hanno toppato alcune gare (vedi Roccella), esagerato dal punto di vista disciplinare (sei giocatori squalificati per tre giornate), bersagliati da infortuni ed un pizzico di sfortuna, ma si sono pur sempre comportati da professionisti.
Fa male leggere in tutti i giornali online sportivi, soprattutto vicini al girone I di serie D, che il Gela abbandoni il campionato. Addirittura c’è chi si è spinto oltre, parlando di un altro caso Due Torri, di classifica rivoluzionata e di squadre che si sfregano le mani pensando a play off e play out. Semplicemente aberrante. Il delfino biancazzurro non merita tutto questo. Non lo merita la sua storia. In questa analisi non ipotizziamo responsabili e irresponsabili, buoni o cattivi, cosa è giusto o sbagliato. Speriamo sempre nel buon senso. Ci sono otto gare da giocare e tra licenziamenti, dimissioni, accordi di programma Eni che non partono e la gravissima crisi politica anche la maggiore espressione calcistica cittadina rischia di allungare l’elenco per cui indignarsi, deprimersi e inveire. Come dice spesso un mio amico “Gela città sfortunata…”.
Domani alle 15 al Dino Liotta di Licata c’è Gela-Sancataldese. Gioca la squadra della nostra città. Questi ragazzi vanno sostenuti. Fino alla fine. Si chiama senso di appartenenza. Si chiama amore verso i propri colori. E con i sentimenti non si gioca…