Gela. “Non possiamo solo studiare gli effetti ma dovremmo essere capaci di risalire alle cause delle tante malformazioni che si registrano nell’area di Gela. Personalmente, ritengono che non siano da legare alla prevalenza di un unico inquinante.
Sono convinto che si tratti di un mix di sostanze capace d’incidere sulla salute dei cittadini di questo comune. Non escludo che l’insieme d’arsenico, idrocarburi e solventi organici sia capace di produrre conseguenze come quelle studiate nella zona in questi ultimi anni”.
Il ricercatore Fabrizio Bianchi, in esclusiva per la nostra testata, traccia un bilancio dell’attività di studio svolta, negli ultimi anni, rispetto al rapporto tra malformazioni ed ecosistema locale. “Inutile ribadirlo – continua – la percentuale di ipospadie è di tre volte superiore la media mondiale. Rispetto alle malformazioni di altri apparati rimaniamo su livelli molto elevati e, comunque, ritengono che i dati confermeranno questo trend anche per il periodo successivo al 2010. I numeri emersi durante quest’arco temporale sono stati raccolti attraverso lo specifico registro attivato dalla regione siciliana”.
Stando all’esperto, insieme ai colleghi Sebastiano Bianca, Chiara Barone e Anna Pierini, impegnato nell’aggiornamento dei dati relativi allo studio epidemiologico portato avanti in città, la tutela ambientale e quella del lavoro possono convivere senza troppi conflitti. “La recente protesta dei lavoratori dello stabilimento Eni – ammette – deve insegnare una cosa a tutti. Non si può difendere il lavoro se non si difende l’ambiente. In una città colpita da percentuali allarmanti di patologie, si rischierebbe di non aver più alcun posto di lavoro da assegnare. Per questa ragione, abbiamo scelto di proseguire il nostro biomonitoraggio”.