Gela. Da sette mesi senza uno stipendio, dopo la crisi della società edile Corima la maggior parte dei suoi ex colleghi di lavoro è riuscita ad essere assorbita nell’organigramma di Turco costruzioni ed Edilponti: per il trentunenne Giuseppe D’Arma, però, sembra non esserci posto.
Per questa ragione, ieri mattina, ha iniziato la sua protesta davanti all’ingresso principale della fabbrica Eni. “Non riesco proprio a capire – dice D’Arma – sono entrato in fabbrica ormai dodici anni fa, ho sempre lavorato fino alla crisi che ha colpito la Corima. Dopo qualche settimana, oltre sessanta miei ex colleghi hanno trovato una sistemazione. E io? Il problema, forse, riguarda le mie parentele? Se è così, me lo si dica in maniera chiara. Ho sempre lavorato onestamente. Mi sono occupato del lato amministrativo dell’azienda ma sono disponibile a fare l’operaio”.
Giuseppe D’Arma è figlio di Armando, arrestato perché ritenuto esponente del clan degli stiddari.
“Non so cosa pensare – continua D’Arma – più di sessanta operai sono riusciti a riavere un posto di lavoro e io cosa dovrei fare? Sono senza stipendio da più di sette mesi e con una famiglia da sostenere. Qualcuno mi deve dare delle spiegazioni”.
Per questa ragione, l’ex lavoratore della Corima ha deciso di tentare le vie legali: reclamando maggiori chiarimenti allo stesso prefetto di Caltanissetta Carmine Valente.
“E’ una questione molto particolare – spiega Angelo Turco responsabile di Turco Costruzioni – questo lavoratore svolge un’attività che, al momento, non necessita di essere coperta nel nostro organigramma. Sono convinto che la situazione si potrà sbloccare entro qualche mese. Sicuramente, è già un successo quello che è avvenuto dopo la crisi della Corima. Siamo riusciti ad assorbire oltre sessanta operai in poco tempo. I criteri di legalità sono nostri parametri di riferimento e non possiamo trascurarli in nessun caso. Stiamo valutando tutto in maniera dettagliata”.
Giuseppe D’Arma, comunque, ha deciso di portare avanti la sua protesta fino a quando non riceverà una risposta.
“Sono pronto a tutto – ammette – non mi muoverò dall’ingresso della fabbrica fino a quando non otterrò una risposta ufficiale. Mi sto preparando allo sciopero della fame. Non si può rimanere per sette mesi senza uno stipendio e, soprattutto, senza un lavoro. Per dodici anni, tutto è andato bene. Adesso, si stanno creando situazioni davvero difficili da capire”.
Il sindacato, a sua volta, sta cercando di mediare con i responsabili delle due aziende edili che, almeno sulla carta, potrebbero assorbire il dipendente in protesta. Ieri mattina, tutti gli operai dell’indotto Eni, per alcune ore, sono rimasti fuori dai cancelli dello stabilimento, solidarizzando con la protesta di D’Arma.