Gela. “Ci vogliono pentiti di Stato non di mafia“. E’ la sintesi del pensiero di Attilio Bolzoni, giornalista di Repubblica che ieri sera, presso la chiesa Santa Lucia si è concesso ai microfoni di un’intervista informale condotta dal dott. Franco Infurna nell’ambito dell’ultima giornata organizzata dall’associazione Libera di Gela contro le mafie.
Un momento di alta riflessione, la cronaca di una sanguinaria fetta di storia della Sicilia degli anni 70-90 ricostruita attraverso un’ attenta e lucida analisi avviata dal libro Uomini Soli e dal film documentario omonimo prodotti dal giornalista.
Figlio di siciliana, Bolzoni ha abbandonato la scrivania e forgiato il suo carattere di inviato a Palermo , iniziando “a conoscere la Sicilia meglio dei siciliani”, come sostiene Infurna. Qui si occupa principalmente dei fatti della mafia e dell’inquietante parallelismo che esiste con lo Stato, una causa che ha sposato 30 anni fa e che le ha conferito il premio E’ giornalismo nel 2009.
Durante la lunga chiacchierata con il collega, emergono alcuni aspetti chiave della riflessione di Bolzoni. Si morde la lingua solo a dover pronunciare la parola latitanza che, per alcuni personaggi come Totò Riina o Bernardo Provenzano, più che una condizione subita ha rappresentato uno status determinato dall’ausilio dello Stato.
Su questo discorso il giornalista non riserva giri di parole. A Totò Riina il giornalista ha dedicato il libro Il Capo dei capi scritto assieme a Giuseppe D’Avanzo. Difende la sua opera più della fiction Bolzoni poichè simboleggia un’occasione per conoscere più a fondo il boss , il maggior rappresentante di quel clan di corleonesi non appartenente all’aristocrazia mafiosa ma a quei figli di contadini che non hanno una radicata storia di mafia alle spalle.
” I corleonesi sono un’invenzione sbirresca, un prodotto criminale creato in laboratorio. Come potrebbero mai, senza storia, arrivare al cuore dello stato uccidendo e causando quell’orribile carneficina? Più volte il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso ha ribadito l’esistenza di altri mandanti. E sono state condotte le inchieste sulle inchieste stesse perché 20 anni fa quest’ultime sono state taroccate. Io per primo che me ne sono fortemente interessato, fino all’ossessione, ne so meno di 20 anni fa.”
Ammette, da giornalista, di aver condotto le indagini, insieme ai colleghi di quel tempo, non con poche lacune . “Sotto gli occhi avevamo gli elementi clou per arrivare alla verità ma li abbiamo tralasciati. La verità è che in Italia ci si comporta male. Un comportamento che investe non tanto i cittadini quanto lo stato: è un dato di fatto che sin dal 1961, dall’unità d’Italia esiste la trattativa mafia- stato“.
Bolzoni non si trova d’accordo con la severa posizione assunta dalla figlia del generale dalla Chiesa, Rita la quale asserisce, di ritorno a Palermo dopo 30 anni, che la morte del padre sia stato un “sacrificio inutile“.
” La Sicilia dopo 30 anni è cambiata. La dimostrazione può trovarsi, per esempio, nell’associazione antiracket di Gela, Gaetano Giordano. Essa ha registrato un notevole aumento di denunce che vanno oramai oltre l’anonimato e l’omertà. La commemorazione della morte di quegli uomini soli e le manifestazioni dedicate alla loro memoria sono indice di consapevolezza e la consapevolezza ha smosso la coscienza della società civile. La classe politica italiana non è ancora pronta a questo grado di coscienza anzi, ha dato prova di aver compiuto numerosi passi indietro”.
A seguito, è stato presentato il film documentario prodotto da Faber Film e da Libera, diretto e scritto da Paolo Santolini, Michele Astori e Attilio Bolzoni. Attraverso un viaggio percorso nelle strade della città mattatoio di Palermo, Bolzoni trascura i dettagli delle cronache, le date e gli atti giudiziari per raccontare la storia di quei facili bersagli lasciati da soli a combattere la lotta alla mafia.
Uomini isolati e per bene, come lo erano il segretario del partito comunista italiano della Sicilia Pio La Torre; Carlo Alberto dalla Chiesa, generale dei carabinieri e prefetto; e i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ci sono molti altri ancora come Calogero Zucchetto, l’agente della mobile di Palermo che ‘cacciava’ latitanti, il magistrato antimafia Rocco Chinnici, Piersanti Mattarella, allora presidente della Regione Sicilia. O come Antonio Montinaro, agente di scorta di Falcone. Bolzoni descrive le storie di solitudine di questi eroi attraverso le voci dei familiari,dei giornalisti e dei colleghi che hanno lavorato a loro fianco.
Letizia Battaglia, che ha fotografato i morti delle stragi per il quotidiano L’Ora, ricorda i pezzi di carne sparsi dappertutto. “C’era chi piangeva, chi gridava. Mamma mia che cosa abbiamo avuto. Basta Attilio. Basta“.