Gela. Lo scorso luglio arrivano pesanti condanne ai danni di dodici imputati, in passato tutti coinvolti nella maxi inchiesta antimafia “Tagli pregiati”. L’indagine risale a dodici anni fa e consentì di ricostruire una parte dei presunti affari intessuti dal gruppo mafioso dei Rinzivillo, soprattutto in Lombardia. Il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Lirio Conti, a latere Marica Marino e Silvia Passani, dopo il dispositivo, ha depositato le motivazioni alla base del verdetto di condanna. I difensori di diversi imputati hanno già provveduto a depositare i ricorsi d’appello, con l’obiettivo di contestare il verdetto di primo grado. A luglio, il pronunciamento dei giudici ha imposto tredici anni e quattro mesi di reclusione al catanese Giorgio Cannizzaro, dodici anni e otto mesi ad Alfredo Santangelo, otto anni ciascuno per Mirko Valente e Salvatore Arria, sette anni e mezzo a Claudio e Vincenzo Alfieri, sette anni al magrebino Mhmdhi Jamil, sei anni a Francesco Angioni, Simone Di Simone, Rosario Saccomando e Francesco D’Amico, quattro anni al collaboratore di giustizia Angelo Bernascone. L’assoluzione è arrivata, invece, per Emanuele Terlati, Roberto Ansaldi, Benito Rinzivillo, Ileana Curti, Giovanna Guaiana, Maura Bartola, Matteo Romano, Patrizio D’Angiò e Salvatore Azzarelli.
Gli “affari” al nord e con i catanesi. Il collegio penale ha anche riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni alle associazioni antiracket costituite e a due degli estorti. Nel processo si sono costituite l’associazione antiracket “Gaetano Giordano” con l’avvocato Giuseppe Panebianco, il Comune con il legale Salvatore Caradonna, la Federazione antiracket con l’avvocato Ugo Forello e la fondazione antiusura padre Pino Puglisi con il legale Carmelo Picciotto. I giudici di primo grado hanno accolto gran parte del quadro accusatorio disegnato dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta. In base a quanto emerso dalla requisitoria, gli affari del gruppo Rinzivillo venivano gestiti attraverso l’apporto dei clan catanesi, tutto sarebbe passato sia da Giorgio Cannizzaro che da Alfredo Santangelo. Non sarebbero mancati, inoltre, gli imprenditori di fiducia, scelti per cercare di acquisire finanziamenti costituendo società ad hoc, principalmente in Lombardia. Nodi strategici erano la zona di Busto Arsizio e dell’hinterland di Varese. Le casse della mafia gelese, però, sarebbero state riempite sfruttando anche settori tradizionali, come il giro di droga e le estorsioni, e gli investigatori non hanno trascurato neppure la gestione di manodopera in nero che veniva utilizzata nei cantieri edili. Gli imputati, in primo grado, sono stati difesi dagli avvocati Giacomo Ventura, Flavio Sinatra, Maurizio Scicolone, Nicoletta Cauchi, Raffaela Nastasi, Cristina Alfieri, Fabio Nocera, Vania Giamporcaro, Fabio Schembri, Vincenzo Lepre e Maurizio Forte.