Gela. Il pm della Dda di Caltanissetta Elena Caruso ha subito chiesto
una perizia sulle intercettazioni alla base dell’indagine che ha portato a processo Nicola Liardo e la moglie Monia Greco.
Trovato anche un “pizzino”. Entrambi sono accusati di un tentativo di estorsione. Gli investigatori scoprirono anche un “pizzino” che Liardo avrebbe voluto far recapitare, dal carcere, ad alcuni imprenditori locali. In sostanza, veniva chiesto il pagamento di circa tremila euro. Quel messaggio, trovato nella disponibilità del figlio dei due imputati, non sarebbe mai arrivato a destinazione.
Per i pm della Direzione distrettuale antimafia nissena, però, i soldi dovevano servire al gruppo mafioso di cosa nostra, del quale farebbe parte proprio Liardo. Il dibattimento è stato aperto davanti ai giudici del collegio penale del tribunale, presieduto da Miriam D’Amore, a latere Marica Marino e Silvia Passanisi. I difensori, gli avvocati Giacomo Ventura e Davide Limoncello, a loro volta, hanno formulato le rispettive richieste istruttorie.
Le difese hanno sempre escluso che quel denaro fosse destinato ai clan, sottolineando come il “pizzino” non sia mai arrivato tra le mani degli imprenditori che avrebbero dovuto pagare.