Gela. Avrebbe sottoposto ad estorsione l’imprenditore ittico Emanuele Catania, così è scattata la condanna a sei anni e otto mesi di reclusione nei confronti del cinquantottenne Orazio Scerra. L’uomo è finito sotto processo davanti alla corte presieduta dal giudice Paolo Fiore, affiancato dai magistrati Manuela Matta e Vincenzo Di Blasi.
Stando alle indagini condotte dagli investigatori e dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, l’imputato avrebbe agito per conto dell’ex boss di cosa nostra Rosario Trubia, suo cognato. L’avvocato difensore Flavio Sinatra ha messo in discussione non solo le accuse ma anche l’esistenza stessa di qualsiasi dazione di denaro da parte dell’imprenditore ittico.
“Siamo davanti ad uno zero probatorio – ha spiegato in aula l’avvocato – lo stesso Rosario Trubia ha negato che Catania abbia mai versato del denaro. Addirittura, lui stesso avrebbe avuto problemi con la famiglia Rinzivillo perché l’impresa della presunta vittima era sotto l’ala protettrice del loro gruppo criminale”.
Una versione che non ha trovato conferme, invece, nelle conclusioni presentate dalla pubblica accusa che ha chiesto una pena ancora più pesante, otto anni di reclusione oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Alla fine, la corte ha riconosciuto, con alcune attenuanti, la responsabilità dell’imputato, pronto ad agire anche in sostituzione del reggente Trubia.
Le principali incertezze in aula, comunque, sono emerse soprattutto intorno all’interpretazione del ruolo assunto dalla presunta vittima. L’imprenditore, infatti, finì già al centro delle indagini avviate su una serie di attività economiche ritenute sotto il controllo del clan mafioso dei Rinzivillo.