Gela. La prima sezione della Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di condanna nei confronti di Salvatore Di Maggio e Nicola Liparoti, accusati di strage.
I due, assistiti dai legali Flavio Sinatra e Danilo Tipo, erano stati condannati in due gradi di giudizio a 16 anni di carcere, arrestati per questa vicenda nel giugno del 2008. Sarà la corte d’appello di Catania a dover istruire nuovamente un processo a carico dei due imputati. Sono state le motivazioni addotte nei due gradi di giudizio a risultare deboli davanti la Cassazione. La difesa ha puntato sulla «mancanza del dolo intenzionale», ovvero non c’era la volontà di provocare una strage. A capo del gruppo c’era Paolo Di Maggio, che aveva riunito attorno a sé un gruppo di giovani, poco più che ventenni, che usava per il traffico di droga, le estorsioni e le intimidazioni ai commercianti e agli imprenditori che non volevano pagare il pizzo. Paolo Di Maggio, ritenuto dagli inquirenti il capo del clan di Stiddari, che per due anni ha controllato gli affari illeciti a Gela, poteva contare su un esercito di fedelissimi tra i quali c’era il figlio Salvatore, oggi ventiseienne. Per convincere una delle vittime a pagare il pizzo, i boss rischiarono di compiere una strage.
Dalle indagini, infatti, è emerso che nel 2005 tre dei sette affiliati entrarono nell’appartamento della vittima, diedero fuoco ai mobili e bloccarono con una spranga la porta di ingresso dello stabile per bloccare eventuali fughe. Nel palazzo vivevano tre nuclei familiari che riuscirono ad abbandonare l’immobile invaso dal fumo, solo buttando giù il portone a spallate. Il giorno successo all’attentato sul muro dello stabile venne ritrovata la scritta “Chi è qui è morto”.