Gela. Fu lui ad infliggere i fendenti che provocarono profonde ferite ad un suo conoscente a bordo di una Mercedes nell’aprile di cinque anni fa? La sentenza di primo grado emessa dal colleggio presieduto dal giudice Paolo Fiore
che ha condannato a cinque anni e mezzo di reclusione Simone Pretin è stata impugnata e, adesso, saranno i giudici della corte d’appello di Caltanissetta a doversi pronunciare sul caso.
L’avvocato Salvo Macrì, legale di fiducia del disoccupato che fu bloccato con l’accusa di aver inferto diverse coltellate ai danni di un conoscente nei pressi della fabbrica Eni di contrada Piana del Signore, ha già preparato un corposo ricorso con il quale contesta le motivazioni addotte dai giudici di primo grado per condannare il suo assistito.
Proprio davanti al colleggio presieduto dal giudice Paolo Fiore, la difesa riuscì a far venire meno l’accusa di tentato omicidio contestata a Pretin che, alla fine, venne condannato solo per le lesioni gravi. Il pubblico ministero Elisa Calanducci aveva chiesto che l’imputato venisse condannato a sette anni di detenzione, ritenendolo responsabile dell’azione. Il caso, quindi, si sposta davanti la corte nissena.
Stando alle accuse, le coltellate inferte al braccio destro della vittima, così profonde da recidergli parzialmente il nervo radiale, sarebbero partite nel tentativo di ottenere un credito vantato, forse, per una giro di droga. L’avvocato Salvo Macrì, nel corso del giudizio di primo grado, ha messo in dubbio che sulla Mercedes ci fosse proprio Simone Pretin.