Gela. Sono già state raccolte oltre quattrocento firme: l’obiettivo è quello d’impedire che un bene immobile confiscato possa, eventualmente, ritornare nella disponibilità del boss a cui venne sequestrato.
A Bosco Marengo, piccolo comune in provincia d’Alessandria, continua a tenere banco il caso della cascina confiscata al presunto affiliato alla famiglia gelese degli Emmanuello Rosario Caci e alla moglie. Diversi esponenti delle associazioni che dovrebbero ricavare da quell’immobile un nuovo complesso florovivaistico hanno denunciato il rischio che la struttura possa ritornare nella disponibilità di prestanome utilizzati dalla famiglia Caci.
L’appello è stato inoltrato al sindaco del comune piemontese e alle autorità competenti. Da diversi anni, ormai, si tenta di riconvertire la cascina realizzata a Frazione Donna: allo scopo di destinarla ad usi sociali. Il percorso, però, è stato più volte interrotto. Sono stati denunciati diversi crolli all’interno dell’immobile e danneggiamenti che, stando agli esponenti delle associazioni locali, sarebbero da collegare alla volontà del cinquantottenne gelese di riprendersi l’immobile sottoposto a confisca o, comunque, impedire che possa passare di mano.
La cascina confiscata alla famiglia Caci, da anni residente sia in Piemonte che in Liguria, fu il primo bene immobile a finire sotto chiave per volere della magistratura in quella zona: a conclusione di un’inchiesta che coinvolse lo stesso Rosario Caci, successivamente condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso.
“In ogni caso – si legge nell’appello pubblico lanciato da Libera e da altre associazioni interessate a riconvertire l’immobile – rinunciare al suo recupero significherebbe una resa di tutti i cittadini onesti di fronte alle difficoltà del pieno ed effettivo riutilizzo sociale. Senza contare il rischio concreto, tramite prestanome, del ritorno del bene confiscato nella disponibilità dei clan, a cui è stato sottratto grazie al lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura”.
Allo stato attuale, la cascina rientra nel patrimonio indisponibile dell’ente comunale dopo che i funzionari dell’agenzia nazionale per i beni confiscati la sottrassero definitivamente alla proprietà di Rosario Caci e della moglie. Gli esponenti delle associazioni locali, a questo punto, temono che nella procedura possano subentrare società interessate a rilevarla, controllate da eventuali prestanome che, in questo modo, farebbero il solo ed esclusivo interesse del cinquantottenne gelese.
Così, è scattata la campagna di raccolta firme e l’appello pubblico, successivo ad una serie di denunce già depositate sui tavoli delle forze dell’ordine e della magistratura piemontese.