Roma. Non una ma più trattative o tentativi di trattative tra Stato e mafia con diversi oggetti e protagonisti. È un fiume in piena il pentito Giovanni Brusca che da oltre sette ore sta deponendo nell’incidente probatorio in corso davanti al gip di Caltanissetta, in trasferta a Roma per sentire quattro collaboratori di giustizia nell’ambito della nuova indagine della procura nissena sull’eccidio di Via D’Amelio.
Indagati per concorso in strage, i boss Salvino Madonia, Vittorio Tutino, Salvo Vitale e per calunnia aggravata l’ex collaboratore di giustizia Calogero Pulci. Nell’aula bunker di Rebibbia, il boia di Capaci ha riferito che la più significativa delle trattative di cui è a conoscenza è quella portata avanti dal boss Totò Riina. «’Solo dopo anni – ha detto – ho scoperto dai giornali che i suoi interlocutori erano i carabinieri».
Il pentito, che per primo parlò del papello con le richieste alle istituzioni a cui il capomafia corleonese avrebbe subordinato la fine della strategia stragista, ha poi raccontato di avere saputo dal padrino che tra i soggetti che nel tempo avevano mostrato interesse a dialogare con Cosa nostra c’erano, oltre all’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri e il leader della Lega Umberto Bossi.
Brusca ha poi parlato di un altro tentativo di «dialogo» con lo Stato avviato nei mesi di marzo-aprile del 1992, prima quindi della strage di Capaci.
Per spingere lo Stato a scendere a patti con Cosa Nostra, insieme all’ex bandito della Mucciatella Paolo Bellini e al mafioso Nino Gioè, poi morto suicida in carcere, Brusca parlò dell’idea di colpire i monumenti storici. Bellini, piccolo criminale, alias Roberto Da Silva «esperto di opere d’arte» avrebbe avuto spesso rapporti coi boss, fatto recuperare quadri rubati ai carabinieri, e commissionato furti alla mafia. Gioè gli avrebbe chiesto cosa sarebbe successo se «un giorno la torre di Pisa non fosse più esistita» e lui avrebbe risposto che «la città sarebbe stata messa in ginocchio».