Gela. La separazione della Snam dall’Eni farà scendere il debito del gruppo petrolifero a 8 miliardi e al termine dell’operazione il Cane a sei zampe dovrà essere più forte e gli azionisti tutelati.
L’amministratore delegato della compagnia, Paolo Scaroni, sceglie l’assemblea degli azionisti per confermare i paletti messi nella complicata operazione di cessione dell’asset, ma si mostra fiducioso, perchè, dice, «il governo ha lo stesso interesse che abbiamo noi a guadagnarsi la credibilità sui mercati finanziari».
Neanche in questa occasione il management dell’Eni è voluto entrare nel merito del Dpcm che è atteso per la fine di maggio, ma Scaroni ha voluto comunque confermare la linea assunta fin dall’inizio dei colloqui con il governo, vale a dire quelli che ha definito i «tre punti fermi»: il primo è che l’Eni dovrà uscire «con un bilancio forte», perchè è chiamata al «più grande piano di investimenti della sua storia», che prevede tra l’altro di destinare ben 8 miliardi all’Italia nei prossimi 4 anni.
Inoltre, e sono gli altri due ‘palettì, andranno tutelati sia gli azionisti dell’Eni («Snam è un pezzo della nostra storia»), che quelli di Snam, dove sono confluite ben quattro società, Italgas, Stogit, Gnl e Snam Rete Gas. Se poi si vorrà fondere Snam con Terna, opzione per altro già smentita dal ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, all’Eni, ha spiegato il presidente Giuseppe Recchi, non interessa perchè «non interessa il compratore finale».
Quello che è certo è che la cessione farà precipitare il livello di indebitamento del gruppo: «Dovremmo uscirne – ha detto Scaroni – con 7 miliardi di cassa e 11 miliardi di debiti in meno: quindi il nostro debito scenderà dagli attuali 26 a 8 miliardi circa».
Se questa è la posizione del gruppo, Scaroni ha comunque mostrato una chiara fiducia in chi deve prendere la decisione finale: le tre priorità, ha concluso, «verranno rispettate tutte dal governo», anche perchè «non c’è contraddizione tra le tre cose che ho detto e il desiderio del nostro governo di guadagnare ancora più reputazione sui mercati internazionali».
Su questo fronte, tra l’altro, Scaroni ha incassato l’appoggio del fondo Knight Vinke, da sempre favorevole allo scorporo, secondo cui qualsiasi ritardo «provocherebbe serie conseguenze e rischierebbe di far sparire parte della fiducia faticosamente riconquistata dall’Italia», perchè questo tema, «visto da Londra o da New York» è più importante delle pensioni e dell’articolo 18.
La partita Snam, insomma, è di centrale importanza, ma intanto l’Eni guarda avanti, chiude un 2011 molto positivo (utile a 6,86 miliardi di euro) nonostante «un contesto difficile» e promette ancora «risultati al top». La barra è dritta sull’esplorazione, per trasformare le scoperte in produzione, ma il management non nasconde i punti deboli, dalla raffinazione (se le cose non cambiano, dopo gli stop temporanei di Marghera e Gela potrebbero esserci «misure strutturali») alla chimica, con la Syndial che ha perso la «somma astrale» di 5,24 miliardi di euro dal 2002 a oggi.
Nel corso dell’assemblea, infine, il Tesoro ha ribadito l’invito già rivolto all’Enel di improntare la politica delle retribuzioni al «rigore»: il management ha accolto l’invito, ma ha sottolineato che gli stipendi, compreso quello di Scaroni, sono già sotto la media.