Gela. “I Luca ci fornivano tante informazioni utili e confidenze, almeno dal 2003”. L’ex numero uno della sezione catturandi della polizia lo ha riferito questa mattina, nel corso dell’udienza del dibattimento scaturito dall’inchiesta “Camaleonte”. Gli imprenditori sono accusati di aver avuto contatti e rapporti diretti con i clan di Cosa nostra, anche della zona etnea. Sono già stati sottoposti a una procedura di confisca per un vasto patrimonio. E’ in corso l’istruttoria dibattimentale davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore. Il poliziotto, in quel periodo, insieme ai suoi uomini, era impegnato nel tentativo di risalire soprattutto al latitante Daniele Emmanuello, capo indiscusso dell’omonima famiglia di mafia. “Con i Luca si creò un rapporto di collaborazione – ha precisato – tutto quello che ci riferivano lo riscontravamo e corrispondeva”. Gli imprenditori, impegnati principalmente nella vendita di auto, si trovarono davanti, nel tempo, agli uomini dei clan che pretendevano la messa a posto e auto, pare usate pure per le “staffette” destinate ai latitanti. Come ha riferito nel corso del suo lungo esame Rocco Luca, uno degli imputati, “tutti venivano a chiedere macchine e pretendevano”. “A un certo punto dissi a mio padre che bisognava denunciare, non si poteva andare avanti così”, ha continuato. Per le difese, gli imprenditori non furono mai vicini ai clan ma erano diventati vittime di richieste e imposizioni. Pagavano per evitare conseguenze e danneggiamenti. I titolari della rivendita di auto e di altre società, anche del settore immobiliare, iniziarono a informare la polizia rispetto a tanti esponenti dei clan, di primo piano, che periodicamente si recavano nella loro attività per richiedere vetture oppure per la messa a posto. Rocco Luca ha ricostruito la genesi dello sviluppo imprenditoriale della famiglia, partita “dal lavoro di mio padre”. E’ a processo insieme appunto al padre, Salvatore Luca, che già nel corso della precedente udienza, con dichiarazioni spontanee, ha respinto ogni addebito mosso dai pm della Dda di Caltanissetta. Sono a giudizio, inoltre, Francesco Luca, Francesco Gallo, Concetta Lo Nigro, Emanuela Lo Nigro, Maria Assunta Luca e i dirigenti di polizia Giovanni Giudice e Giovanni Arrogante, questi ultimi ritenuti responsabili di aver favorito gli imprenditori. Giudice, durante le precedenti udienze, è stato sentito e ha contestato le accuse che gli vengono contestate. Rocco Luca, rispondendo alle domande dei difensori, ha nettamente preso le distanze dal contenuto delle dichiarazioni rese da Angelo Bernascone, che per un periodo è stato collaboratore di giustizia.
Lo ha smentito rifacendosi a materiale di indagine dell’inchiesta romana “Cobra”. Ha sottolineato di non aver consegnato auto ai capi del clan Rinzivillo. “La mia famiglia non ha mai fatto prestiti dietro interessi”, ha continuato. Per gli inquirenti, l’inchiesta “Camaleonte”, coordinata dalla Dda, in aula con il pm Nadia Caruso, dimostrerebbe che gli imprenditori erano contigui ai clan e a esponenti della criminalità organizzata. In aula si tornerà per il controesame di Rocco Luca. Gli imputati sono rappresentati dai legali Giacomo Ventura, Antonio Gagliano, Filippo Spina, Flavio Sinatra, Carlo Taormina, Carmelo Peluso, Luigi Latino, Fabio Fargetta, Alessandro Diddi, Michele Ambra ed Emilio Arrogante.