Gela. “Era un ragazzino di soli quindici anni e, da quello che è emerso durante il dibattimento, aveva decisamente poco a che spartire con gli ambienti della stidda”.
L’avvocato Giovanni Cannizzaro è netto nel descrivere la vicenda che ha visto come tragico protagonista il quindicenne Marco Lorefice. Il ragazzo scomparve nel nulla nel marzo di ventidue anni fa e i suoi resti non sono mai stati ritrovati. Un caso di lupara bianca che, a distanza di oltre vent’anni, non ha ancora permesso ai familiari di piangere sulla sua tomba.
Stando a quanto emerso dal dibattimento, la vittima sarebbe stata prelevata da un gruppo di affiliati a cosa nostra e condotta nella zona rurale di Comiso, all’interno di un casolare.
Torturato per farlo parlare e, alla fine, ucciso. Il suo corpo, in base alle ricostruzioni fornite dai collaboratori di giustizia sentiti in aula, con in testa i fratelli Angelo e Luigi Celona insieme a Massimo Ferrigno, sarebbe stato abbandonato in un pozzo. Nonostante le ricerche, però, di quei resti non si è saputo più nulla.
I familiari, così, hanno deciso di chiedere giustizia, costituendosi parte civile nel processo. I due fratelli e la madre del quindicenne sono stati rappresentati proprio dall’avvocato Giovanni Cannizzaro e dal collega Carmelo Tuccio. Se, da un lato, il martoriato corpo del ragazzino non è mai stato ritrovato: dall’altro, non sono mancate le sentenze di condanna inferte ai danni di dieci esponenti del gruppo di cosa nostra.
L’ergastolo è stato comminato a Giovanni Passaro e al mazzarinese Salvatore Siciliano, pene diventate definitive. Nell’altro troncone, invece, a pagarne le conseguenze sul piano penale sono stati Emanuele Argenti di Guido, Maurizio Moscato, Raimondo Romano e Angelo Tisa, condannati a trent’anni di reclusione ciascuno con l’accusa di omicidio volontario.
Sempre i giudici della corte d’assise d’appello, inoltre, hanno riconosciuto la colpevolezza di Luigi La Cognata e degli stessi collaboratori di giustizia Angelo e Luigi Celona oltre che di Massimo Ferrigno.
Di quel corpo, comunque, si sono perse le tracce e, intanto, la famiglia ha ottenuto una prima provvisionale favorevole in giudizio: quindi, il diritto al risarcimento dei danni verrà valutato in sede civile.