Gela. La targa del suo studio professionale data alle fiamme e almeno tre lettere anonime dal contenuto minatorio, accompagnate da foto dei familiari. Destinatario delle minacce e dell’avvertimento con il fuoco fu l’avvocato Davide Limoncello, che si è costituito parte civile nel procedimento penale che vede imputati il presunto mandante dell’incendio e possibile autore delle lettere, l’esercente Massimo Robilatte, e Cristian Esposito Ferrara, considerato il responsabile materiale del rogo. Davanti al giudice Marica Marino, è stato sentito il professionista, in qualità di testimone, che ha ripercorso vicende che denunciò facendo partire le indagini. Limoncello infatti rappresenta, come legale, la sorella di Robilatte, in cause avviate per contrasti familiari. Secondo gli investigatori, le lettere e l’intimidazione con il fuoco avrebbero avuto come scopo quello di farlo desistere dalla difesa della donna, a sua volta parte civile (i legali che li rappresentano sono gli avvocati Gianni Tomasi e Alessandra Campailla). Gli imputati invece sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra e Maurizio Scicolone. Nel corso dell’udienza, in dibattimento, è stato sentito uno dei poliziotti che si occupò delle indagini e degli accertamenti. Ha riferito che gli spostamenti di Esposito Ferrara, nei momenti precedenti all’incendio, vennero ricostruiti attraverso i sistemi di videosorveglianza della zona. I poliziotti arrivarono a lui, ritenendolo responsabile di quanto accaduto. Lo stesso poliziotto ha parlato inoltre di sequestri effettuati durante perquisizioni condotte rispetto alla posizione di Robilatte.
Venne trovato anche un normografo, secondo gli inquirenti probabilmente usato per scrivere alcune frasi delle lettere minatorie. In aula, sempre come testimone, è stata ascoltata la sorella di Robilatte, cliente dell’avvocato Limoncello, che ha parlato del lungo iter dei procedimenti giudiziari attivati, confermando di aver subito il furto di documentazione. Nuovi testimoni saranno sentiti nel corso delle prossime udienze.