Gela. La scalata alla Juveterranova non c’è mai stata. La volontà di uccidere l’ingegnere Fabrizio Lisciandra? Neanche. Doveva solo essere intimidito. Sono provabili l’associazione mafiosa, la detenzione di una pistola e l’estorsione alla Gela Gas.
E’ questa la conclusione a cui è giunto il tribunale, presidente Paolo Fiore, nel processo “Leonina societas”. Condanna a 8 anni per Filippo Sciascia, 65 anni, responsabile di tre capi di imputazione: estorsione, associazione mafiosa e detenzione di armi; due anni e dieci mesi per il fratello Emanuele; 70 anni, due anni e mezzo per Gianluca Gammino, collaboratore di giustizia; assoluzione per Giuseppe Alabiso, 58 anni. Alcuni di questi reati sono stati prescritti, tant’è che Emanuele Sciascia è stato liberato già dopo la sentenza (aveva solo l’obbligo di firma). Il reato di tentato omicidio è stato derubricato in lesioni personali, con pena oramai prescritta.
Ben altre erano state le richieste del sostituto procuratore della Dda, Gabriele Paci, che aveva sollecitato 18 anni e 9 mesi per Emanuele Sciascia, 18 anni e 6 mesi per il fratello Emanuele, 4 anni e mezzo per Alabiso, e 4 per il pentito Gammino, uno dei presunti sicari.
La sentenza è stata pronunciata ieri pomeriggio alle 4 in punto. Prima della camera di consiglio i legali degli imputati, Flavio Sinatra, Tonino Gagliano e Danilo Tipo avevano provato a smontare punto per punto la tesi dell’accusa, facendo emergere soprattutto le diverse posizioni dei pentiti. Secondo l’accusa i fratelli Sciascia avevano ordinato la morte dell’ingegnere Lisciandra, che si sarebbe opposto non solo alla nomina di Alabiso alla presidenza della Juveterranova, ma soprattutto l’accesso di Cosa nostra agli appalti dell’indotto Eni.
I collaboratori non sono stati concordanti. Da un lato Crocifisso Smorta, Rosario Trubia e Salvatore Cavaleri che hanno raccontato come l’intenzione degli Sciascia fosse quella di eliminare Lisciandra. Di versione opposta invece Gianluca Gammino, Paolo Portelli e Carmelo Billizzi, che hanno ribadito che non volevano uccidere Lisciandra ma solo spaventarlo. L’agguato non era finalizzato ad ucciderlo ma solo a intimidirlo, tant’è che quel pomeriggio del settembre del 1998 i picciotti incaricati spararono verso il basso e non ad altezza d’uomo per mettere paura all’allora presidente della Juveterranova. Lo stesso Lisciandra e il commerciante Biagio Cocchiaro erano parte civile nel processo, rappresentati dall’avvocato Giovanna Zappulla. La difesa ha sottolineato come appare inverosimile che Sciascia incaricasse Trubia di estorcere denaro alla Gela Gas, di cui uno dei soci era prima il suocero, poi la moglie stessa di Sciascia e dove attualmente lavorano genero e cognato.