La tragica perdita del feto per una giovane donna, in appello condanne confermate

 
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Gela. Una giovane, otto anni fa, perse il feto che aveva in grembo. Una vicenda verificatasi all’ospedale “Vittorio Emanuele”. Per lei ci furono conseguenze notevoli, con ricadute non solo fisiche ma anche di impatto psicologico. Una vicenda che sul finire dello scorso anno portò il giudice del tribunale di Gela a pronunciare la condanna per due medici del nosocomio di Caposoprano, Emanuela Bartoli e Rosario Ferraro. La decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Caltanissetta, che non ha accolto i ricorsi avanzati dalle difese dei due medici. Entrambi, in primo grado, sottolinearono di aver osservato tutti i protocolli necessari. Si sarebbe trattato, secondo la loro versione, di una conseguenza imprevedibile. Per la procura, invece, ci furono delle sottovalutazioni che avrebbero poi condotto all’esito finale. La condanna imposta ad entrambi era stata di un anno e quattro mesi, con pena sospesa e non menzione. Per le difese, come fecero rilevare nel procedimento di primo grado, i tracciati non erano da ritenersi allarmanti. La morte del feto sarebbe stata la conseguenza ultima di almeno tre “cause non individuabili”. Gli imputati sono stati rappresentati dagli avvocati Vania Cirese e Gualtiero Cataldo. La giovane donna al centro del caso si è costituita parte civile nel giudizio, assistita dagli avvocati Flavio Sinatra e Cristina Alfieri. Stando alla loro linea, si sarebbe potuto fare molto di più per evitare il tragico accadimento.

Il procedimento, nel giudizio, è stato alimentato, nelle sue fasi, da perizie tecniche. Per la parte civile, l’ultimo elaborato che venne avanzato sarebbe stato “incompleto” e “depotenziato”. Alla giovane madre era già stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni. Fu la sua famiglia ad avanzare denuncia e a far partire le verifiche.

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