Gela. Ucciso nell’inverno di ventinove anni fa, quando in città
i clan sparavano e i morti si contavano a decine.
L’omicidio. L’allora ventiquattrenne Tommaso Esposito Ferrara, però, cadde sotto i colpi dei killer solo perché si trovava in compagnia del vero obiettivo dell’agguato, un suo coetaneo ritenuto vicino al gruppo di cosa nostra. Lui, invece, come è emerso anche dalle successive indagini, non aveva alcun rapporto con le famiglie in lotta. A decenni di distanza da quella morte, il figlio ha scelto di rivolgersi alla giustizia civile, per ottenere un risarcimento. Addirittura, per il tramite del suo legale di fiducia, l’avvocato Giuseppe Cascino, ha citato l’ex vertice della stidda Marcello Orazio Sultano, oggi collaboratore di giustizia. Quell’omicidio è rimasto senza un colpevole. Almeno da un punto di vista penale, non c’è mai stata una condanna. Uno dei componenti del commando di fuoco morì mentre era recluso; per Marcello Orazio Sultano, invece, arrivò l’assoluzione per insufficienza di prove. Ad ottobre, il giudice civile del tribunale inizierà a valutare atti e richieste formulate dal legale, compresa quella di sentire in aula proprio il collaboratore di giustizia che, a decenni di distanza da quei fatti, potrebbe rivelare nuovi particolari sull’agguato che fece due morti, compreso appunto il giovane Tommaso Esposito Ferrara. Allo stesso tempo, è stato avviato l’iter amministrativo per il riconoscimento dello status di vittima della mafia.