Gela. “Cosa nostra e Stidda si stanno camorizzando. E’ in corso una disarticolazione dei due clan che non li rende certamente meno pericolosi”. Il sostituto procuratore Domenico Gozzo analizza il momento storico della mafia gelese.
“Questa attività di indagine aveva uno scopo preciso: colpire la Stidda. La procura ha agito in questi anni su tre livelli: il primo riguarda la mafia in genere, al secondo livello c’è la Stidda ed al terzo il gruppo Alferi. Cosa nostra e Stidda si stanno autonomizzando. Non c’è più una guida carismatica perchè i capi sono tutti in carcere. Ed allora ci si rivolge a persone come Emanuele Palazzo, che diventa un riferimento per gli stiddari del posto”.
Sul fenomeno delle estorsioni il procuratore capo Sergio Lari è stato chiaro. “Ci sono commercianti ed imprenditori che pagano ancora – ammette – ma ce ne sono anche tanti che sbattono le porte in faccia ai taglieggiatori, ed in questa indagine abbiamo registrato tanti casi positivi. Noi speriamo di intervenire alla base, ovvero evitare che i commercianti vengano disturbati”.
Sul voto di scambio la procura ha ammesso che l’indagine è ancora in atto. Si stanno valutando nuovi elementi. “In ogni caso il consiglio comunale non rischia alcuno scioglimento”, ha sottolineato Gozzo.
Il comandante provinciale dei carabinieri Roberto Zuliani ha puntato l’indice sul connubio tra Stidda e Cosa nostra. “E’ stato un lavoro di quasi due anni svolto con metodi tradizionali, con attività di pedinamento, intercettazioni, ascolti tradizionali. Pensiamo di aver realmente toccato il cuore della Stidda”. Il capitano del reparto territoriale di Gela, Gianmarco Messina, ha chiarito il ruolo di Emanuele Palazzo. “Era il trade union tra i detenuti e gli affiliati in libertà – ha detto l’ufficiale – il cognato Paolo Di Maggio dal carcere impartiva ordini ed era capace anche di dirimere dissidi”.